Secondo George Simmel, autore di uno dei saggi più importanti sul paesaggio, non basta che su un dato pezzo di terra ci siano "cose" naturali e "cose" forgiate dall'uomo perché si possa definire il tutto "un paesaggio". "La natura, che nel proprio essere e nel proprio senso profondo, ignora l’individualità, viene trasformata nella individualità del «paesaggio» dallo sguardo dell’uomo, che divide e configura in forma di unità distinte ciò che ha diviso" sostiene il filosofo tedesco. Perché si possa parlare di paesaggio, per Simmel, occorre che l'ambito di osservazione sia delimitato, reso "maneggevole" da confini ben precisi. Ma non basta, occorre anche che vi sia un principio unificatore attorno cui la realtà semplicemente percepita possa venir organizzata, e questo principio Simmel lo definisce "Stimmung", parola intraducibile in italiano ma che grossomodo indica uno "stato d'animo" una "tonalità emotiva", un "umore". Lo Stimmung è parte integrante del paesaggio che guardiamo, non una nostra proiezione, e può identificarsi con quella che - anche nel parlare comune - viene chiamata "atmosfera": c'è addirittura una branca di studi filosofici che si occupa della "Atmosferologia", sviluppata soprattutto da due ricercatori sempre tedeschi, Hermann Schmitz e Gernot Böhme e ripresa in Italia da Tonino Griffero. In effetti l'atmosfera così intesa è quasi un "oggetto" concreto, e ce ne possiamo rendere conto se pensiamo che può essere costruita e modificata, cosa che fanno abitualmente molti professionisti che progettano il paesaggio o gli ambienti dove viviamo, come anche centri commerciali, negozi, locali pubblici. In tutti questi luoghi si cerca di fare in modo - grazie alle forme e alle luci - di creare una determinata atmosfera, utile magari a favorire gli acquisti, o il benessere di chi li frequenterà. Per Böhme la nostra percezione del paesaggio è essenzialmente percezione di atmosfere, perciò ancor prima di distinguere i singoli elementi che stiamo osservando, noi percepiamo unitariamente la Stimmung, la tonalità generale di una certa scena che non è solo una proiezione del soggetto, dunque indipendente da quel che si percepisce, quanto un incontro tra soggettività e oggettività. Le atmosfere sono parte integrante del paesaggio osservato e il bravo fotografo paesaggista (venendo agli argomenti che più ci interessano) dovrebbe essere in grado di coglierne l'essenza, riuscendo poi a trasmetterla agli altri. Molti fotografi si sono concentrati sul messaggio insito nel paesaggio (come abbiamo visto), o lo hanno studiato, quasi dissezionato, alla ricerca di una impossibile oggettività (e su questo torneremo), mentre relativamente pochi hanno inteso dedicare la propria attenzione alle atmosfere, se non in modo superficiale e retorico, come avviene in tanta fotografia di paesaggio "spettacolare" che vediamo online, che gioca sulla trasmissione di "atmosfere" semplici e immediate. Viceversa autori come Luigi Ghirri hanno magistralmente interpretato la Stimmung dei luoghi ripresi, ed è su quella che hanno incentrato la propria attenzione. Un altro nome che mi viene in mente, tra i grandi classici è Roger Fenton (1819-1869) - le cui foto illustrano questo post - che per motivi anagrafici appartiene alla schiera dei pionieri della fotografia e operò in piena epoca vittoriana, facendosi in qualche modo portavoce di uno spirito romantico che vedeva nel paesaggio e nella natura un'ammonimento alla nostra piccolezza e caducità, nonostante le conquiste della tecnologia che quei paesaggi andava trasformando e a volte distruggendo. Fenton è famoso per le sue fotografie realizzate durante la Guerra di Crimea (1853-56) che, per motivi sia tecnici che "politici" vennero giocate sui ritratti in posa e su foto di paesaggio dopo la battaglia. Tra l'altro la foto iconica di Fenton, "La valle delle Ombre della Morte" (che esiste almeno in un paio di versioni), è una chiara dimostrazione di come la fotografia di paesaggio sappia raccontare proprio grazie all'atmosfera. Il luogo solitario e brullo, la luce quasi accecante e le palle di cannone sparse in terra possiedono una capacità evocativa fortissima. Fenton, comunque, era un grande fotografo di paesaggio e architettura, generi ai quali si dedicò con passione e grande abilità tecnica, in un'epoca in cui ancora imperava il collodio umido, una metodologia che obbligava il fotografo a stendere l'emulsione sensibile subito prima della ripresa, e a sviluppare la lastra subito dopo. Un vero incubo! Fenton, da buon britannico, aveva una spiccata sensibilità per "l'atmosfera" dei paesaggi, e nonostante le difficoltà pratiche, girava la Gran Bretagna (e non solo) con il suo carro-camera oscura per cercare soggetti adeguati, da riprendere concentrando la propria attenzione proprio sull'aspetto "atmosferologico". In tal senso, guardando le sue opere si può percepire appieno lo spirito di un'epoca, e sarebbe un grave errore giudicare le sue foto con gli occhi di oggi.
Ma guardandole invece con mente aperta, ne possiamo riconoscere il fascino e percepire tutto un mondo scomparso da tempo, eppure ancora presente in questi scatti, realizzati faticosamente e con notevole abilità manuale.
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AutoreSono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). ArchiviCategorie
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