Nato nel 1967 in Islanda e cresciuto tra il paese natale e la Danimarca, Olafur Eliasson è un artista poliedrico, generalmente dedito a installazioni (a volte davvero monumentali come "Riverbed") che hanno quasi sempre un riferimento preciso alla realtà in cui è cresciuto e che certamente sente come "propria": l'Islanda selvaggia ed estrema, fatta di roccia, vulcani e licheni. In effetti, sono questi i colori e le forme (aspre) che si vedono sovente nelle sue opere. Se parlo qui di un artista che non è - a rigore - un fotografo, è perché ricorre spesso alla fotografia per creare delle serie molto interessanti che ci mostrano un "utilizzo" della fotografia non solo consapevole, ma anche estremamente coinvolgente e significativo. Quando mi è capitato di vedere la serie "The Fault" del 2001(foto sopra) sono rimasto profondamente colpito. Come vedi, non è un composit di varie foto, ma una installazione di piccole stampe che vanno a creare un "photowall" più ampio: ognuna delle foto riproduce un profondo solco, una frattura della terra, creatasi a causa dell'erosione e a volte percorsa dall'acqua. Sono tutte sostanzialmente simili eppure assai diverse. C'è un elemento quasi di sacralità, in questa serie, una componente femminile e atavica della Terra, ma soprattutto non somiglia a niente di quello che normalmente i fotografi ci propongono sull'Islanda che - tra i paesaggisti soprattutto - è oramai una meta quasi "standard". Non si contano più i fotografi che hanno realizzato mostre o pubblicato libri sull'Islanda, con foto spettacolari e coloratissime (ma anche in un bel bianco e nero profondo). Spesso lavori pregevoli, sia chiaro, ma hanno il difetto di somigliarsi tutti, a volte in modo imbarazzante. Stesse "locations", stesse modalità di ripresa, stessi elementi caratteristici: aurore boreali, ghiaccio spiaggiato, cascate, cieli stellati, riprese aeree più o meno grafiche. Una ricerca online sui libri dedicati all'isola è molto istruttiva. Olafur Eliasson compie un'operazione del tutto diversa: prende un singolo elemento geologico, caratteristico e riconoscibile, e lo fotografa ovunque possa rinvenirlo. Poi organizza l'insieme in una serie dal forte sapore grafico in cui la somma è ben superiore ai singoli elementi, dimostrando che quando "hai visto tutto" la creatività può darti ancora spazio per delle ricerche che abbiano un senso. Anche la scelta del titolo non è casuale: "The Fault" in inglese vuol dire sia "la colpa" ma anche "l'errore", il "difetto", il "guasto", quasi che quelle spaccature fossero una manchevolezza della Natura, il segno che non tutto - in quel grandioso paesaggio - è perfetto, che compito dell'artista è individuare "quel che non va". Il "metodo" fotografico di Eliasson è proprio questo: identificare un elemento che sia caratterizzante e ricercarlo in modo ossessivo, quasi a indicare che la serialità con cui la natura crea i propri caratteri sia anche qualcosa di identificativo, di identitario. Lo vediamo in maniera tipica nel lavoro del 1996 intitolato "The Waterfall series" (foto sopra). Le singole foto delle cascate non hanno una caratteristica particolare, ma 50 stampe messe tutte assieme in questo modo diventano una sorta di mosaico, con tutti i colori dell'Islanda e tutte le forme che una cascata può prendere a quelle latitudini a rappresentare - se vogliamo - un "luogo comune", nel vero senso del termine. Molto più recente la serie dedicata alle sorgenti calde, del 2012, in cui vediamo replicata 48 volte un'altra caratteristica tipica dell'Islanda, le "hot springs", appunto. La cosa interessante è proprio che i singoli elementi perdono decisamente importanza rispetto all'insieme: noi percepiamo l'opera non già come un insieme di fotografie, ma come un unicum, come un gioco di cromatismi e forme potente proprio perché multiforme, com'è sempre la natura, d'altra parte. Dal 1999 al 2019 Olafur Eliasson ha poi curato un progetto intitolato "The Glacier Melt series" che, come dice il titolo, mostra i ghiacciai islandesi nel loro costante ritirarsi a causa dei mutamenti climatici. Stavolta le foto sono a coppie, il prima e il dopo, per far percepire in modo netto e chiaro l'impatto che l'uomo ha sull'ambiente e sul pianeta. Oltre che in un "photowall", le foto sono anche disposte in una lunga fila di coppie, che creano spaesamento e angoscia nello spettatore. Altri fotografi hanno ideato progetti simili, tuttavia la modalità dell'artista islandese si presta in modo particolare a narrare questa situazione, proprio perché i suoi progetti nascono come "installazioni" composte di fotografie e non come reportage che solo ex post vengono organizzati in una mostra. Credo che questa sia una lezione preziosa da apprendere: possiamo dire che in questi esempi la mostra nasca prima dell'opera, mentre in genere è il contrario. Le scelte fatte all'inizio permettono a Eliasson di creare un insieme non semplicemente armonico, ben composto ed efficace, come in genere si fa con un accorto editing, ma qualcosa di vivo, di autonomo, di forte, in cui percepiamo il senso del movimento, del tempo, del divenire e non soltanto l'aspetto esteriore delle cose.
Per tutte le foto: Copyright Olafur Eliasson
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