MARCO SCATAGLINI
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La prima ma di certo non l'ultima

13/3/2022

2 Commenti

 
Roger Fenton (Heywood, 28 marzo 1819 – Londra, 8 agosto 1869) è stato uno dei più grandi fotografi ottocenteschi, un vero pioniere in molti campi e soprattutto in quello della fotografia di paesaggio e di architettura. Ma i suoi interessi erano piuttosto vari.

Si trovò così ad essere anche il primo "fotoreporter" di guerra della storia, in un periodo in cui per realizzare le fotografie occorreva portare con sé una pletora di attrezzature pesanti e ingombranti (36 casse in totale) e un'intera camera oscura ospitata in un carro trainato da cavalli.

Si imbarcò così, con il sostegno del Ministero della Guerra britannico e la promessa di un editore di pubblicare le sue foto in un portfolio, per la Crimea dove Regno Unito, Francia, Regno di Sardegna e Impero Ottomano combattevano contro la Russia zarista. Fenton rimase in Crimea dal marzo al giugno 1855 come fotografo "embedded" - diremmo oggi - tra le truppe britanniche. Ovviamente, anche a causa dei limiti tecnici della fotografia dell'epoca, ma soprattutto per disposizione dei militari, poteva fotografare solo le retrovie, dedicandosi di fatto a comporre bei ritratti di soldati e dei loro comandanti.

​Ma  il 23 aprile 1855 gli capitò di scattare finalmente la foto che lo avrebbe reso famoso e spesso indicata come la prima foto di guerra della storia: "Valley of the Shadow of Death" (La valle delle ombre della morte). Il titolo deriva da un Salmo della Bibbia.
Foto
Questa foto è di stretta attualità per vari motivi. Il primo è il luogo dove venne scattata: la Crimea, da sempre una di  quelle terre "sfigate" che per la loro posizione strategica sono destinate a essere contese e dunque instabili, come i fatti di questi ultimi anni ci dimostrano. Se vogliamo, dimostra anche che da sempre la Russia la ritiene fondamentalmente "proprietà privata" e dunque che di certo non era disposta a lasciarla in mano ucraina. Già allora costò ai russi pesanti perdite (256.000 vittime, di cui 128.000 direttamente per i combattimenti) e una dolorosa sconfitta.

Inoltre rende chiaro come - anche storicamente - "sebbene ci sentiamo assolti siamo per sempre coinvolti", per dirla con De André, visto che in Crimea di fatto i piemontesi andarono per gettare le basi delle future alleanze che permisero nel 1859 al Regno di Sardegna di iniziare la campagna per l'indipendenza italiana. Un pochino, insomma, c'entriamo anche noi.

Ma dimostra anche, e direi soprattutto, che non serve mostrare morti, sangue e distruzione per evocare le "ombre della morte" e lo spettro orribile della guerra: basta una distesa di palle di cannone in un paesaggio desolato. La foto è così efficace che da quasi due secoli viene tirata fuori ogni volta che una nuova guerra è in corso, anche per dimostrare che niente, non impariamo mai. Non avremo più le palle di cannone ma missili e aerei potenti, ma davvero la logica è sempre quella della clava. La barbarie che portiamo dentro e di cui non riusciamo a liberarci.

Oltretutto la foto è stata, molto probabilmente, costruita ad hoc, un po' come si sostiene della foto del "Miliziano morente" di Robert Capa. Ne esistono infatti versioni diverse, una senza le palle di cannone - effettivamente disposte in modo troppo regolare - sulla strada.
Foto
E' del tutto ovvio che Fenton volesse "saturare" con i proiettili la scena per renderla più efficace. Una pratica che non è mai cessata da allora, ancora oggi ci sono reporter che chiedono di spostare i cadaveri per rendere la scena "più forte" come anche pratiche di propaganda che spacciano foto fatte altrove o organizzate ad hoc come riprese recenti fatte "sul posto".
​
Tuttavia io preferisco vederla invece come una scelta comunicativa e artistica, visto che la foto non vuole essere una mera documentazione (dato anche il titolo) ma evocare un'atmosfera, delle sensazioni. In tal senso funziona alla grande. A rigore la si poteva anche scattare altrove, nemmeno serviva andare in Crimea, ma se vogliamo è in questo la sua grandezza.

Ad ogni modo mi è tornata in mente in questi giorni proprio perché nell'infinita serie di corsi e ricorsi storici, rappresenta un tassello di quella consapevolezza che dovremmo avere tutti del fatto - puro e semplice, addirittura ovvio - che la guerra non risolve mai (mai!) i problemi. Ogni conflitto, indipendentemente da come termina, ha in sé i germi per un conflitto futuro. Quei bambini che piangono disperati e che vediamo evacuare da Mariupol e dalle altre città martiri dell'Ucraina saranno i soldati e i combattenti di domani, se non sapremo fermare questa follia, e vale per qualsiasi conflitto in ogni parte del mondo.

Mi piacerebbe davvero che i vari negoziatori e mediatori che cercano di convincere la Russia a interrompere l'attacco e l'Ucraina ad accettare un compromesso, portassero sempre con sé, e avessero bene in mente, la foto di Fenton. Questa è la guerra: desolazione, solitudine, morte, devastazione, ingiustizia. Nessuna gloria, solo fottutissime palle di cannone.
2 Commenti
Guido
13/3/2022 18:55:28

Giuste riflessioni che arrivano in un momento drammatico, e che mi confortano accomunandomi nel pensiero di qualche possibilità di evitare la follia delle guerre. Dobbiamo arrivare a metterci attorno a un tavolo, magari per anni, per decidere come procedere ad un vero disarmo da tutte le parti e a pianificare un protocollo di discussione per risolvere i conflitti. Ma siamo solo noi persone che (almeno mel mio caso) contano poco socialmente e politicamente a pensare così, o c'è tra noi per miracolo anche qualche politico o diplomatico che conta? Si faccia vivo e cominci a lavorare seriamente in tal senso! Di sicuro non gli mancheranno i consensi.

Risposta
Marco Scataglini
14/3/2022 18:11:51

Eh, speriamo! per ora all'orizzonte non si vede nulla... Grazie per il commento!

Risposta



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    Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). Per oltre 15 anni ho collaborato con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando oltre 200 reportage. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling.


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