Come sa chi mi conosce, adoro le vecchie fotocamere, specialmente quello non "lussuose", ma preferibilmente quelle in bachelite, a lente semplice, quelle utilizzate un tempo per realizzare le foto per l'album di famiglia. In fondo ho realizzato un intero progetto, e un libro, con simili apparecchi. Ma tra tutte le tipologie esistenti - e a differenza del digitale che tende un po' ad appiattire il mercato, ai tempi della pellicola di modelli e marche, come di formati, ce n'erano a bizzeffe - quella che di gran lunga prediligo sono le folding. Insomma, le fotocamere a soffietto. E' vero che non si può sostituire l'obiettivo (in genere un "normale"), ma la portabilità è eccezionale, e per me questa caratteristica è fondamentale. Perciò ti presento la mia nuova - probabilmente inseparabile - compagna d'avventure fotografiche, la Balda Baldalux 6x9 cm (ma permette anche di scattare il 6x6 e il 6x4.5). Nella foto sopra è chiusa e così diventa un "mattoncino" compatto e facilmente trasportabile nello zaino, con l'ottica e il soffietto ben protetti. Una medio formato (6x9 poi!) è generalmente pesante e ingombrante, anche se magari non come la mia Mamiya RB67 che, proprio per questo, non uso quasi mai. La Baldalux (e l'altra mia folding, la Zeiss nettar, sempre 6x9) è invece facile da usare, trasportare, gestire. Una gioia! Premi un pulsantino e - voilà - il "mattoncino" diventa una bella fotocamera, con tempi di scatto che vanno sino a 1 secondo, più posa B, e diaframmi da f/4.5 a 22. L'obiettivo è un fantastico Schneider Kreusznach 105 mm, che sul 6x9 corrisponde sul lato lungo a un 42 mm (con riferimento al piccolo formato) e su quello corto a un 63 mm. Buono per tutte le occasioni, anche se oggi se non hai un grandangolo che ti mostra anche le orecchie di chi scatta, o un tele che possa riprendere i crateri della luna, sembra che tu non possa vivere! Ieri perciò, bello pimpante e sotto una pioggerella insistente, me ne sono andato con Simonetta ad Acquapendente per scattare un rullo di prova. I soggetti sono stati i murales realizzati diversi anni fa sulle facciate di alcuni edifici del centro storico. Temevo che senza un grandangolo più spinto avrei avuto difficoltà, ma invece la Balda si è comportata bene. Inoltre con un 400 ISO (Fomapan) ho potuto scattare a 1/100 a f/11 a mano libera. Sebbene realizzate solo per prova, delle fotografie sono davvero molto soddisfatto, specialmente se penso che la fotocamera ha più di 70 anni di vita. L'obiettivo perde appena agli angoli estremi, per il resto è nitido come uno scalpello. Appunto, una gioia da usare. Poi questo genere di fotocamere ti obbliga a una sorta di "ritualità" che è diversa dal cercare affannosamente nel menù di una digitale l'apposito voce: qui devi soprattutto ricordarti le tre-quattro cose da impostare, meglio se nell'ordine. Prima di tutto la lettura esposimetrica, fatta con un piccolo accessorio cinesissimo, un esposimetro digitale delle dimensioni di una scatola di fiammiferi che si può anche collocare sulla slitta del flash e che ho verificato essere abbastanza preciso. Poi con calma (i comandi sono in effetti un po' piccoli) si impostano tempi e diaframmi che sono coassiali all'obiettivo. Poi si arma l'otturatore, si inquadra con il microscopico mirino (che però ci azzecca) e si preme finalmente il pulsante di scatto. Ragazzi, che bello. Con l'occasione ho anche provato lo svillupo Bellini Hydrofen; 6 minuti a 20° nella diluizione 1+15. Non credo sostituirà il mio amato Rodinal (o R09 che dir si voglia), sebbene i due sviluppi siano dati come molto affini, però anche lui si è comportato abbastanza bene, direi.
2 Commenti
Più passa il tempo (e magari più aumenta il rincoglionimento), più elaboro mentalmente teorie in merito alla necessità di un ritorno alla pellicola. Che palle!, direte, ancora con questa storia? Ebbene si, perché debbo confessare di essere un appassionato del digitale, delle possibilità che offre (chi può negarle?), epperò c'è questo tarlo che rode nella mia testa, perché poi, ogni volta che sviluppo un rullo bianco e nero... eh, beh, è proprio tutta un'altra cosa!
Mi è capitato di leggere sul sito della rivista americana Shutterbug un interessante post del fotografo Jason Schneider, in cui l’autore elenca i 7 motivi per cui, a suo parere, occorrerebbe scattare su pellicola, anche per essere fotografi digitali migliori. Siccome riverberano pienamente quel che io penso, ma non riuscivo pienamente a mettere a fuoco (che è grave, per un fotografo!), li riporto qui con il mio commento, che vale - a differenza di quello di Schneider, che parla solo di fotocamere con obiettivi a lenti - anche per la fotografia stenopeica. Schneider consiglia di utilizzare fotocamere vintage di medio e grande formato (soprattutto biottica e folding per pellicole 120), allo scopo di acquisire una certa manualità e consapevolezza. Ma ecco i singoli punti. Si incrementa la nostra precisione - Oggi i fotografi sono abituati ad affidarsi agli automatismi. Male, molto male: tornare a dover utilizzare tempi e diaframmi e, nel caso delle fotocamere vintage anche la messa a fuoco manuale, ci costringe a ragionare prima di scattare; si scatta meno, ma si coglie di più - Chi ricorre a un rullo 120 ha a disposizione solo 12 pose, o multipli di questo se porta con sé più rulli. In una normale uscita con una fotocamera digitale, torniamo a casa con centinaia di scatti! E' evidente che l'avere poche foto per riuscire a rendere un soggetto in modo adeguato, ci offre una preziosa opportunità. Nel caso della fotografia stenopeica, poi, la lentezza esasperante, a volte, del procedimento, avvalora ancor di più questo aspetto; si incrementa la consapevolezza - Non avere subito davanti la nostra fotografia sul monitor della fotocamera, ci costringe a cercare di avere già in testa la foto, e di scattarla tenendo conto di ogni parametro necessario. Poi c'è l'attesa per il ritorno a casa, l'ansia dello sviluppo, la gioia (o la frustrazione) di vedere finalmente il risultato dei nostri sforzi. Tutto questo è impagabile. Certamente il digitale ci spinge a sperimentare di più, potendo subito controllare il risultato, ma ci toglie anche molto, in particolare l'attenzione e, appunto, la consapevolezza di ciò che stiamo facendo; si comprende meglio il concetto di esposizione - Utilizzare un esposimetro separato, o comunque imparare a leggere la luce, a valutarla, ci rende senza alcun dubbio osservatori migliori e fotografi più capaci. Dopo, solo dopo, potremo tornare al digitale e ragionare di "ETTR" (Expose to the right) e altre amenità elettroniche (e di postproduzione). Ma lo faremo non da un punto di vista meramente tecnologico, ma creativo. E questo è ciò che conta davver; si ottiene un'esperienza più viscerale e disciplinata - E questo lo può capire solo chi ha provato, perché parliamo di sensazioni. Prendere con sé una vecchia fotocamera medio formato a pellicola, inquadrare la scena, caricare l'otturatore e sentire quella delicata vibrazione e lo scatto, un vero "click", è qualcosa di unico, credetemi. Si tratta della cosa che, per noi che siamo nati come fotografi analogici e siamo passati al digitale solo in un secondo tempo, manca di più alle moderne fotocamere. Purtroppo le sensazioni di questo genere non si possono descrivere, ma l'aspetto della "disciplina" (intesa in senso filosofico, se vogliamo) è evidente, se solo pensiamo ai fotografi di un tempo, come Stieglitz, Atget o Adams, per tacer di Bresson; si aggiunge una qualità atemporale alle immagini - Su questo, credo, ci saranno pochi dubbi. Una fotografia su pellicola, e a maggior ragione se si tratta di una fotografia stenopeica, ha una qualità "materica" che il digitale si sogna, e che i softwares che imitano le pellicola (tipo Silver Efex Pro) sfiorano, forse, ma mai raggiungono. E' anche un fatto di gamma dinamica, che la pellicola riesce a rendere ancor oggi in modo superiore, e che solo le fotocamere digitali FF o medio formato superprofessionali (e supercostose) possono (forse) eguagliare; si colloca l'accento sul fotografo, e non sulla fotocamera - Il digitale ha avuto il torto di proseguire ed estremizzare quel processo (iniziato ben prima) di spersonalizzazione della tecnica fotografica, offrendo fotocamere sempre più "evolute" e in grado di realizzare immagini perfette, grazie all'autofocus, al TTL, ai sistemi elettronici interni, e oggi anche al RAW e Photoshop. Al punto che tutti si sentono in grado di fare "belle" foto, svilendo la figura dell'operatore, quasi che la fotocamera fosse andata ben oltre l'inconscio tecnologico di cui parlava Franco Vaccari già nel 1979, per raggiungere una completa autonomia. Non ci chiedono subito con che fotocamera è fatta la nostra foto così bella? E' evidente che non l'abbiamo fatta noi (pensano) ma il mezzo meccanico che abbiamo usato. Avvilente, o no? Ma mettete in mano a qualcuno di quei sedicenti "fotografi" della domenica un rullo 120 e una Rolleiflex e vediamo che sanno combinare (vendetta atroce vendetta)! Il più delle volte, non sapranno nemmeno da dove iniziare... Sebbene sia sempre meglio evitare estremizzazioni, come dimostrato dal fatto che esistono eccellenti giovani fotografi "nativi digitali", è pur vero che fossi in voi rifletterei almeno un po' sui punti che ho appena elencato. Certo, potrebbero sembrare elucubrazioni di un vecchio fotografo nostalgico (ma lo stesso Schneider confessa di scattare la quasi totalità delle sue foto in digitale...), ma in verità la disciplina, il piacere e la consapevolezza che danno una buona fotocamera tradizionale a pellicola (ma anche un modello economico da due soldi), sono un ottimo viatico per diventare fotografi migliori. In fondo, non è questo che tutti noi fotografi desideriamo? Io, nel frattempo, ho anche realizzato un intero progetto in analogico, con fotocamere vintage e stenopeiche, che puoi vedere nell'apposita galleria. Da questo ho tratto un libro fotografico che puoi scoprire e acquistare nell'apposita pagina di questo sito. |
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