MARCO SCATAGLINI
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Tutta una questione di contrasto

21/12/2020

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Come sai - e in effetti è ovvio - in una foto BN ci sono i due estremi (il bianco e il nero, Zona 0 e Zona X per dirla con Ansel Adams) e nel mezzo una gamma di tonalità intermedie di grigio, virtualmente infinite.

Se mettiamo molti grigi nel mezzo, otteniamo una foto morbida, se ne mettiamo pochi avremo una foto contrastata. Insomma, è intuitivo. Ma attenzione: il bianco e il nero,intesi come ombre e luci con dettaglio, magari minimo, debbono esserci, a meno di non volere foto "d'effetto". Ovviamente ci sono situazioni specifiche in cui la mancanza di ombre o di luci è normale, basti pensare a una giornata di nebbia compatta. Ma per semplicità pensiamo a fotografie diciamo "normali".


Una foto morbida, con una buona gamma tonale, ma senza alteluci e ombre, apparirà grigiastra e piatta, cosa che accade spesso soprattutto a chi inizia con il BN, perché i toni medi sono quelli che appaiono più "naturali", e anche perché lo stesso sistema esposimetrico della fotocamera è calibrato su di essi. Dunque, quasi tutti fanno delle foto "piatte" e grigiastre,all'inizio, perché le trovano appunto più naturali. Ma il BN è sempre un'interpretazione, e secondo la mia opinione è meglio evitare di fare una cosa del genere, se non necessario per i citati scopi creativi.

Per evitare di essere "piatti" alcuni esagerano con il contrasto, ottenendo foto grafiche che inevitabilmente colpiscono molto, ma è bene sapere che solo pochi soggetti sono adatti a un simile trattamento, ottenibile ad esempio con una "Curva ad S", realizzabile su qualsiasi software (una "S inversa" porta invece a foto grigiastre). Nell'esempio qui sotto vedi bene come una curva a S standard porta a una foto con forti neri, bianchi puliti e una gamma di grigi ridotta.
Foto
Come si fa a valutare - e anche a decidere come modificare - la gamma tonale di una foto? Non è semplice, ed è poi un aspetto molto legato alle scelte che il fotografo fa: in fondo qui sta il bello del Bianco e Nero. Un maestro dei toni medi è stato ad esempio Paul Strand - che pure aveva cominciato con foto contrastate - mentre è ben noto che fotografi come Bill Brandt o Mario Giacomelli non amavano molto i grigi!
L'idea comunque è di valutare la foto cercando di separarne - idealmente - le singole componenti. Ti faccio un piccolo esempio pratico e spero chiarificatore. Ecco la foto che ho già utilizzato precedentemente.
Foto
Si tratta di una foto di archeologia industriale, con luce diffusa e un'ampia gamma di grigi, specialmente sul lato "chiaro": i macchinari erano infatti ricoperti di una patina bianca, visto che appartengono a una cartiera abbandonata. Questa è dunque una versione più o meno standard della scena, e a me piaceva così. Con una curva a "S", lo abbiamo visto, possiamo dare molto più contrasto e modificare la resa della foto. Viceversa, potremmo anche decidere di ammorbidirla ancora, o di renderla più chiara. L'importante è imparare a "vedere" l'estensione dei toni medi, delle luci e delle ombre.

Ecco, ad esempio, le ombre. Ho eliminato toni medi e alteluci e lasciato solo queste ultime.
Foto
Ora facciamo il contrario, togliendo i toni medi e le ombre (che ho trasformato in nero assoluto) e lasciando solo le alteluci.
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Come puoi notare entrambe le "versioni" hanno un certo impatto visivo, diciamo che sembrano degli High o Low Key. Comunque questi sono i due estremi. Ora vediamo quanti toni medi (di varia intensità, ma riconducibili a questa categoria) ci sono nella foto.
Foto
La foto sembra così quasi posterizzata, ma comunque ci possiamo rendere conto con facilità che l'immagine possiede dei toni medi caratterizzati da grigi abbastanza chiari: altre tipologie di foto potrebbero avere una gamma più equilibrata. Fatto sta che allargando o restringendo questa gamma, possiamo influenzare - e di parecchio - la resa della nostra fotografia.
​
Ovviamente dei ragionamenti del genere si potrebbero fare anche con il colore, dove però le possibilità di intervento sono minori, in quanto una foto a colori ad alto contrasto tende ad apparire strana, poco piacevole; va meglio utilizzando una gamma più morbida (Ghirri insegna) ma di certo siamo lontani dalla libertà creativa del bianco e nero, soprattutto in digitale.
Foto
Ecco qui sopra una foto riassuntiva con i tre "livelli" sovrapposti. Credo che imparare a comprendere come i diversi componenti di luminosità agiscano sulla foto possa aiutarci molto a migliorare le nostre fotografie, evitando di avere neri catramosi e senza dettaglio e bianchi sfondati privi di interesse... sempre se non è esattamente così che li vogliamo. Ma dev'essere una scelta, non un "incidente" di percorso!
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Trovare un'identità

6/12/2020

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Se mi chiedessero se mi considero un fotografo digitale o analogico – domanda posta ai fotografi di frequente, più di quanto si creda normalmente – direi senza alcun dubbio di essere diventato quel che sono (nel bene e nel male) grazie al digitale. Sicuramente - quindi - sono un fotografo digitale, sebbene sia nato e cresciuto in epoca analogica e ancora armeggi con pellicole e bagni di sviluppo.

Ricorro spesso all’analogico, l’ho utilizzato per il mio progetto “Una Momentanea Eternità”, e debbo dire che mi appassiona moltissimo.

Ma ho le mie idee in merito al ricorso alla fotografia analogica o meglio – nel mio caso – ibrida, visto che poi non stampo quasi mai i negativi in Camera Oscura ma li inserisco in un flusso digitale.
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Diciamo che credo esistano due tipologie fondamentali di fotografi, anche se le generalizzazioni e categorizzazioni non mi piacciono molto. Ma è per capirci.
Foto
Ci sono i fotografi digitali duri e puri, che guardano all’analogico come a una cosa morta e sepolta, anacronistica e incomprensibile, date le potenzialità infinite che il digitale ci mette a disposizione. Perché trascorrere una giornata in camera Oscura quando in dieci minuti ottieni lo stesso risultato (a volte migliore) grazie a un computer? E per di più non inquini e non spendi soldi in carta da stampa alla gelatina d’argento e chimici puzzolenti. Molti di loro hanno anche provato a scattare delle foto in analogico, tanto per non essere tacciati di incompetenza, ma non sono rimasti fulminati sulla via di Damasco e continuano a preferire i pixel ai grandi d’argento.
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Poi ci sono i fotografi dall’altra parte della barricata (con scarse possibilità di vittoria e anzi costretti in difesa, va detto): usano solo e soltanto l’analogico, rigorosamente passando per la Camera Oscura e mostrano orgogliosi le loro stampe appena emerse dal fissaggio in fotografie fatte in digitale. D’altra parte pensano che il digitale sia utile solo per questo, a condividere i loro lavori analogici online e sui Social. Spesso, a questo scopo, ricorrono a uno smartphone, perché acquistare una fotocamera digitale gli sembra uno spreco. Con lo stesso esborso economico puoi portarti a casa una Nikon F2, vuoi mettere? Discorrono sui forum della qualità di pellicole e sviluppi, di obiettivi vintage e fotocamere di nobilissimo lignaggio, arrivando alla non sorprendente conclusione che con una Hasselblad 500, un Leica M, una Mamiya RB67 – con i rispettivi obiettivi – si abbiano risultati pari (secondo loro anche migliori) a quelli ottenibili in digitale. In effetti, una stampa in grande formato ottenuta in camera oscura da un negativo realizzato con una simile fotocamera o una stampa inkjet ottenuta da un file realizzato – che so - con una Canon EOS 5D sono spesso indistinguibili. Vorrei vedere.
Foto
A questa contrapposizione non ho mai partecipato. Anche i più grandi fotografi che ammiro e studio, e che lavorano esclusivamente in analogico, come Jodice o Kenna, hanno sempre dichiarato di non avere nulla contro il digitale, anzi: semplicemente si trovano meglio a lavorare con l’analogico.

La foto finale è quel che conta, in fondo, non come la si è ottenuta. E basta guardare molti lavori di Salgado, in cui si uniscono foto analogiche e digitali (come nel progetto “Genesis”), per capire che la differenza, se c’è, è del tutto ininfluente.
​
Bene, ma questo in generale. Per quanto mi riguarda, da fotografo convintamente digitale, trovo che abbia senso il ricorso all’analogico solo se ti dà qualcosa in più o di diverso dallo scatto fatto di pixel. E ce ne sono di cose possibili e interessanti su pellicola e impossibili o inaccettabili su digitale!
Foto
Le fotografie stenopeiche, ad esempio, che vengono davvero bene solo su pellicola o carta fotografica: si possono fare anche in digitale, ovviamente, ma non c’è confronto, con poche eccezioni. Tra l’altro solo in analogico puoi fare quelle anamorfiche o anche le solargrafie (ne parlo nel mio ultimo libro, dedicato alla fotografia stenopeica).

Poi c’è la possibilità di ricorrere a vecchie fotocamere vintage di qualità relativa (le cosiddette “Toy Cameras”) secondo la filosofia del “Lo-Fi” (Low Fidelity, bassa fedeltà), e ottenere così foto che possono essere solo imitate in digitale, con risultati comunque inferiori.

E di esempi ce ne potrebbero essere molti altri. Ma il punto è che a me interessa l’analogico – e lo uso frequentemente – solo se “si vede” che la foto è analogica, vuoi per la resa particolare, vuoi per i maltrattamenti che la pellicola può subire.
Mi diverte molto (e dunque lo faccio spesso) mettere appositamente assieme tutti gli errori di sviluppo che gli amanti dell’analogico puro aborrono: utilizzo bagni per lo sviluppo della carta per le pellicole, allo scopo di ottenere un maggior contrasto e soprattutto più grana, non seguo gli schemi per l’agitazione, spesso nemmeno quelli della temperatura.
​
D’altra parte rispettando tutte le regole si ottengono negativi buoni che poi, una volta digitalizzati e “sviluppati” digitalmente insieme a quelli scattati con la fotocamera digitale, faccio fatica a distinguere! Davvero, le foto risultano quasi identiche, solo ingrandendo il file al 100% si vedeva la tipica grana analogica. Tutta quella fatica per dover trovare la differenza con la lente d’ingrandimento? Non fa per me.
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Come dico sempre, abbiamo una tecnologia economica e comodissima per fare foto perfette: è per l’imperfezione che il digitale davvero non va bene. E a me l’imperfezione piace maledettamente, se è quella “giusta”, cosa oltretutto non facile da conseguire.
​
Col digitale puoi fare qualsiasi cosa, ma devi farla tu, e questo significa che difficilmente il caso ci mette lo zampino. Ma carica una pellicola in una fotocamera improbabile, che nemmeno si capisce bene che tempi di scatto utilizzi e che diaframmi possieda, poi sviluppa il tutto in una brodaglia inguardabile e vedi che viene fuori. Sorprendentemente solo di rado debbo buttare tutto. A volte le macchie, la grana “a palla”, i contrasti strani, i light leaks concorrono a dare alla foto quel qualcosa che nessuna fotocamera digitale saprebbe dargli.

Non dico che questo sia il modo “giusto” di usare l’analogico (anzi, riconosco che è sbagliato!): dico solo che è il mio. Rappresenta una delle possibilità. La sperimentazione, sembrerà strano dirlo, è possibile più con la pellicola che con il digitale, che pure permette di fare “tutto”. Ma sono i limiti e le costrizioni a dare via libera alla fantasia e alla creatività…
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L'altro Adams

4/11/2020

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Ho acquistato "Lungo i fiumi" di Robert Adams, e me lo sto "gustando" un po' alla volta, con calma. E', dal mio punto di vista, uno di quei libri che può mettere in crisi le proprie convinzioni, nel caso specifico quelle legate alla fotografia di paesaggio. Insomma, chi non pensa che gran parte del fascino di una fotografia di paesaggio consista nella scelta di un soggetto adeguato, almeno "interessante", se non spettacolare? Non è quello che ci ha insegnato l'Adams più famoso, Ansel?
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Poi ti arriva l'altro Adams, Robert, è scompiglia le cose sostenendo che non intende "eliminare l'evidenza del nostro abuso del territorio e degli altri verso gli altri", e nemmeno "voltare le spalle a ciò che gli artisti hanno sempre tradizionalmente esaltato nella vita: la bellezza. Che io intendo come forma".

​Tuttavia, quel che vediamo nelle sue foto è proprio l'opposto di quello che noi consideriamo "bello". Magari le foto sono ben fatte e ben realizzate, ma di certo il soggetto non può essere considerato un esempio di armonia e bellezza. Proprio no.
Foto
Robert Adams è d'altra parte il "cantore" della distruzione del "West" americano, di quella frontiera tanto esaltata a parole, eppure massacrata di fatto dalla speculazione edilizia, fatta di miriadi di casette tutte uguali, parcheggi e centri commerciali. Un vero tradimento, come lo considera il fotografo.

Con uno sguardo netto, tagliente, impietoso ha indagato questi "ghetti" urbani dove una piccola borghesia di impiegati e operai crede di aver realizzato il proprio "sogno americano" e dove il concetto stesso di paesaggio è oramai annichilito e dimenticato.
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Guardando queste foto mi sembra davvero che "i due Adams" siano complementari di fatto, avendo rappresentato i volti contrapposti dell'America, quella selvaggia e spettacolare e quella urbanizzata e francamente brutta. Ed è singolare che uno stesso cognome - ma nessuna parentela nemmeno lontana - porti a comporre le due facce di una stessa medaglia, a creare una sorta di "unicum" in cui lo ying e lo yiang si compenetrano e in fondo si giustificano a vicenda.
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Ma veniamo al libro, che è fatto di fotografie e conversazioni in quanto raccoglie diverse interviste di Robert Adams insieme a una piccola serie di fotografie dedicate ai fiumi dell'ovest americano che, come spiega lo stesso autore, non possiede grandi fiumi, ma tanti torrenti dalla portata variabile. E, in effetti, nelle fotografie il più delle volte è proprio l'acqua a mancare. Vediamo letti fluviali secchi e polverosi con tracce dei pneumatici di qualche fuoristrada, vediamo una vegetazione stentata e cieli adamantini, senza nuvole.
Foto
In cosa consiste allora il fascino (peraltro indubbio) delle fotografie di Robert Adams? Forse è in quel suo "essere lì" - davvero - per riprendere il mondo circostante senza i filtri dell'estetica accademica, rinunciando ad abbellimenti e artificiosità, con una semplificazione dello sguardo che non ha sovrastrutture, rinuncia all'artisticità (secondo i principi resi noti dai New Topographics e dalla Scuola di Dusseldorf) per offrirsi nudo e crudo allo spettatore. Forse.

Mi interrogo molto su questo aspetto, perché io stesso vorrei essere meno "rigido" e più libero rispetto a determinati canoni a cui quasi tutti - se non tutti - noi fotografi restiamo legati. Anche perché oggi abbiamo un potente strumento che fortifica la volontà di rimanere avvinghiati al classico e al formale: Internet.

​Solo ciò che corrisponde al "bello" inteso in senso - il più delle volte - superficiale, viene "premiato" con "mi piace" e visibilità, mentre le immagini che si allontanano da questi schemi generalmente languono in un angolo oscuro della Rete.
Foto
Se non si sapesse che la foto sopra è di Robert Adams (e ammesso e non concesso si sappia trattarsi di un grande fotografo), di certo la stessa non verrebbe quasi degnata di uno sguardo. E stiamo parlando di una delle foto più "potabili" del libro di cui sto parlando!

Io - ovviamente - sono molto attento alle foto che vedo online, in particolare alla modalità con cui vengono proposte. Ad esempio l'enfasi che si mette sull'aspetto tecnico: attenzione, non le "scelte" tecniche (che hanno un valore) ma sul fatto, puro e semplice, che si è utilizzata una fotocamera costosa e di alto livello, un'ottica sopraffina e magari una tecnica digitale complessa. Qualcosa che incuriosisce noi fotografi, certo, ma che aggiunge poco alla valutazione della foto: preferirei sapere qual è stata l'ispirazione, la fonte di determinate scelte, quale la genesi stessa dell'immagine. Ma nulla. Al più si sottolineano le difficoltà incontrate, come le levatacce o le lunghe escursioni, per dare un'aura di eroicità alla ripresa, ma poco di più.

Robert Adams fa l'opposto. Punta tutto su una ripresa diretta e senza fronzoli, evita accuratamente la spettacolarizzazione e invece eleva il banale e il quotidiano al ruolo di soggetto importante e degno di essere raccontato, inserendosi in quella linea iniziata da Walker Evans negli USA e ripresa in Italia da fotografi come Ghirri e Giacomelli.

Il libro mi ha sollevato più domande che risposte, è forse è bene così, anzi in questo consiste il suo valore. Di fronte a tanti "manuali" e "guide passo passo" disponibili sul mercato, un libro come "Lungo i fiumi" offre la preziosa opportunità di diventare maestri di se stessi, indagando lo sguardo di un grande fotografo. E non è poco...
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Il senso di Marco per la quiete

26/10/2020

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A parte la citazione indiretta di Peter Høeg (e del suo romanzo "Il senso di Smilla per la neve") inserita nel titolo, questo breve post serve proprio a ragionare su quello che noi fotografi cerchiamo... nella fotografia. Credo che i più siano interessati soprattutto a raccontare - la propria vita, le proprie passioni o interessi - mentre altri cercano un modo per esprimere idee, sensazioni, addirittura emozioni. In tal senso, è ovvio che il tutto sia legato principalmente a una sorta di "autorappresentazione", cosicché davvero "ogni fotografia è l'autoritratto del fotografo che l'ha scattata" come sosteneva Robert Capa.

Ma c'è secondo me una variante a quest'ultimo modo di intendere e concepire la fotografia, ed è il suo utilizzo come strumento per cercare - e auspicabilmente trovare - quel che spesso non si ha, intendo interiormente. In tal senso la fotografia è anche una specie di terapia, di strumento necessario a sopravvivere o comunque a vivere meglio. Credo che per me sia stata (e sia tuttora) soprattutto questo. Come dico sempre, la fotografia mi ha salvato la vita, nel senso che l'ha resa migliore, e di gran lunga.
Foto
Ho sempre percepito il mio mondo interiore come - diciamo - "magmatico", in perenne subbuglio, decisamente incasinato. I pensieri, le riflessioni, le emozioni sono in perenne lotta tra loro e per lunghi anni non sapevo bene come gestire la cosa, anche perché ero giovane e inesperto, come si usa dire.

Quando ho scoperto la fotografia "seria" - visto che poi fotografo da quando avevo dieci anni o poco più - ne ho subito verificato le qualità taumaturgiche, come si trattasse di una meditazione, o di un calmante, di un ansiolitico ecco. Per risolvere i problemi del mondo, David Henry Thoureau consigliava di uscire a fare una passeggiata: secondo me se oltre a passeggiare si fotografa, si sfiora la perfezione! 

Ci riflettevo proprio l'altro giorno mentre ero sul lago di Bolsena col mio amico Roberto, ed eravamo intenti a fotografare questa superficie lucida e immobile, vero "speculum coeli". I laghi (e l'acqua in generale) in quanto specchi naturali che riflettono la vastità del cielo, erano considerati sacri dalle antiche popolazioni in quanto riflettevano - di fatto - anche le "sembianze delle divinità", che non puoi guardare direttamente, ma che riflesse diventano accessibili. Nel riflesso del cielo, la divinità parla, comunica, si mostra; in quella perfezione che non è diretta ma mediata l'uomo può scrutare profondità altrimenti negate. Per questo - anche oggi, in un'era positivista e materialista, i laghi danno un profondo senso di pace. E per questo mi piace fotografarli, inseguendo quella quiete così difficile da raggiungere, ma che grazie a una fotografia posso almeno "percepire" e in parte fare mia.
Foto
Molti trovano nel mare sensazioni simili. Io, che sono cresciuto in una cittadina di mare, non ho mai pensato fosse così: il mare è troppo vasto - e di rado davvero calmo - per svolgere la stessa funzione di un lago, sebbene possa senz'altro ispirare forza, energia, larghezza di pensiero.

Da quando vivo a Tuscania non sono più andato al mare (o quasi) ma spesso vado sul lago di Bolsena. Dispiace vederlo a volte maltrattato, sporcato e vilipeso da uomini troppo freddi e distaccati per ammirarlo con gli occhi del poeta o del fotografo, ma tuttavia rimane sempre fonte di ristoro per gli occhi e, certo, sorgente di profonda quiete...
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La fotografia è un'attività costosa?

22/9/2020

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Scommetto che ti hanno sempre detto che la fotografia è una passione costosa, che per ottenere risultati davvero eccellenti non puoi non possedere una fotocamera di alto livello e "lenti" altrettanto di qualità.

E se ti dicessi che è assolutamente falso?

La mia fotocamera più "performante" (in termini meramente numerici) è una APS-C da 20 megapixel, consente di ottenere files stampabili senza problemi anche nel formato 70x100 cm e più, ha tutto quel che serve per gestire nel miglior modo possibile i parametri della ripresa, un display OLED touchscreen davvero comodo, e oltretutto è compatta e abbastanza leggera. Con il suo 16-50 mm riesco a ottenere foto di cui sono pienamente soddisfatto, specialmente quando penso a quanto l'ho pagata: 70,00 € (solo corpo), naturalmente usata!

Dirai: com'è possibile? Semplice, si tratta di una mirrorless Samsung del 2013 (la NX300), e visto che la casa coreana è uscita dal mercato strettamente fotografico già da qualche anno, le sue fotocamere (di altissima qualità, basta leggere le recensioni pubblicate a suo tempo sui vari siti online) hanno subito un rapido deprezzamento. Inoltre il mio esemplare ha un piccolo difetto: la rotellina che serve a cambiare i parametri è rotta, sebbene sia possibile utilizzare per lo stesso scopo il display touchscreen, e questo ne ha ulteriormente abbassato il "valore". 

Molti fotografi non accetterebbero mai di avere un modello obsoleto (anche se assolutamente valido), tanto meno un esemplare difettato. A me invece non importa e nel tempo ho acquistato diverse fotocamere a prezzi stracciati, che utilizzo col cuore leggero concentrandomi assai di più sui soggetti che alle specifiche tecniche della fotocamera stessa. Ma non voglio certo convincerti a fare lo stesso. Se desideri e puoi permetterti una "Super Full Frame" del valore di diverse migliaia di euro va benissimo lo stesso, ma il punto vero è: se disponi anche solo di 100,00 € puoi avere comunque una buona fotocamera, non top di gamma ma sufficiente per la gran parte degli utilizzi. In ogni caso non è lei a fare le foto: sei tu!

Insomma, come ho scritto nel post della settimana scorsa, per imparare a fotografare in modo adeguato ti serve ben altro che una fotocamera: ti serviranno fantasia, impegno, ironia, curiosità, competenze... tutte cose che purtroppo non puoi comprare, sebbene tu possa magari avvantaggiarti seguendo un corso (come il mio corso "Smettere di Essere Principiante" realizzato assieme a Reflex-Mania) o leggendo dei libri (anche in questo caso ti consiglio di dare un'occhiata alle mie pubblicazioni).

Sono strumenti in grado di accorciare i tempi ed esaltare le tue capacità, ma comunque la gran parte del lavoro spetta a te. E davvero questa è l'aspetto più intrigante della fotografia!
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    ​Autore

    Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). Per oltre 15 anni ho collaborato con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando oltre 200 reportage. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling.


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