A parte la citazione indiretta di Peter Høeg (e del suo romanzo "Il senso di Smilla per la neve") inserita nel titolo, questo breve post serve proprio a ragionare su quello che noi fotografi cerchiamo... nella fotografia. Credo che i più siano interessati soprattutto a raccontare - la propria vita, le proprie passioni o interessi - mentre altri cercano un modo per esprimere idee, sensazioni, addirittura emozioni. In tal senso, è ovvio che il tutto sia legato principalmente a una sorta di "autorappresentazione", cosicché davvero "ogni fotografia è l'autoritratto del fotografo che l'ha scattata" come sosteneva Robert Capa. Ma c'è secondo me una variante a quest'ultimo modo di intendere e concepire la fotografia, ed è il suo utilizzo come strumento per cercare - e auspicabilmente trovare - quel che spesso non si ha, intendo interiormente. In tal senso la fotografia è anche una specie di terapia, di strumento necessario a sopravvivere o comunque a vivere meglio. Credo che per me sia stata (e sia tuttora) soprattutto questo. Come dico sempre, la fotografia mi ha salvato la vita, nel senso che l'ha resa migliore, e di gran lunga. Ho sempre percepito il mio mondo interiore come - diciamo - "magmatico", in perenne subbuglio, decisamente incasinato. I pensieri, le riflessioni, le emozioni sono in perenne lotta tra loro e per lunghi anni non sapevo bene come gestire la cosa, anche perché ero giovane e inesperto, come si usa dire. Quando ho scoperto la fotografia "seria" - visto che poi fotografo da quando avevo dieci anni o poco più - ne ho subito verificato le qualità taumaturgiche, come si trattasse di una meditazione, o di un calmante, di un ansiolitico ecco. Per risolvere i problemi del mondo, David Henry Thoureau consigliava di uscire a fare una passeggiata: secondo me se oltre a passeggiare si fotografa, si sfiora la perfezione! Ci riflettevo proprio l'altro giorno mentre ero sul lago di Bolsena col mio amico Roberto, ed eravamo intenti a fotografare questa superficie lucida e immobile, vero "speculum coeli". I laghi (e l'acqua in generale) in quanto specchi naturali che riflettono la vastità del cielo, erano considerati sacri dalle antiche popolazioni in quanto riflettevano - di fatto - anche le "sembianze delle divinità", che non puoi guardare direttamente, ma che riflesse diventano accessibili. Nel riflesso del cielo, la divinità parla, comunica, si mostra; in quella perfezione che non è diretta ma mediata l'uomo può scrutare profondità altrimenti negate. Per questo - anche oggi, in un'era positivista e materialista, i laghi danno un profondo senso di pace. E per questo mi piace fotografarli, inseguendo quella quiete così difficile da raggiungere, ma che grazie a una fotografia posso almeno "percepire" e in parte fare mia. Molti trovano nel mare sensazioni simili. Io, che sono cresciuto in una cittadina di mare, non ho mai pensato fosse così: il mare è troppo vasto - e di rado davvero calmo - per svolgere la stessa funzione di un lago, sebbene possa senz'altro ispirare forza, energia, larghezza di pensiero.
Da quando vivo a Tuscania non sono più andato al mare (o quasi) ma spesso vado sul lago di Bolsena. Dispiace vederlo a volte maltrattato, sporcato e vilipeso da uomini troppo freddi e distaccati per ammirarlo con gli occhi del poeta o del fotografo, ma tuttavia rimane sempre fonte di ristoro per gli occhi e, certo, sorgente di profonda quiete...
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