Sono convinto (sebbene siano in pochi a essere d'accordo con me, lo so) che i luoghi possano narrare storie più efficacemente dei volti e delle espressioni, proprio perché sanno essere eterni e grandiosi e al contempo drammatici e tristi, possono evocare sensazioni e idee, commuoverci e ferirci più di quanto sappia fare un volto. Perché il volto è e sarà sempre limitato nel tempo e nello spazio, mentre un paesaggio, per sua natura, è ampio, a volte illimitato, potenzialmente eterno come la nostra incapacità, a volte, dinanzi alle tragedie che avvengono a un passo da noi, di provare la necessaria empatia. E che il paesaggio sia quello della Campania, di Lampedusa, Nizza o Calais davvero poco importa. ll lavoro realizzato da Joel Sternfeld tra il 1993 e il 1996 è di fatto un'esplorazione dell'America, con le sue contraddizioni, che ricorda almeno in parte quella di Walker Evans, che è un po' il "padre" della fotografia "narrativa" americana e mondiale. Ma a parte questo "On this site" è un progetto che ci permette di riflettere anche sul potere - e la necessità - della didascalia, o almeno del titolo. Il progetto di Sternfeld consiste in una serie di fotografie in cui sono rappresentati luoghi più o meno anonimi, anche se a volte famosi, teatro di "eventi significativi" della storia americana: non per forza eventi storici, anzi, quasi mai di tale portata. Si tratta invece di eventi tragici, fatti di cronaca, suicidi, luoghi legati a inquinamento (ad esempio nucleare) o a ingiustizie, e così via. La cosa davvero interessante è che guardando le foto, in nessun caso potremmo intuire tutta la storia: senza didascalia, il progetto sarebbe, per così dire, "muto" e profondamente incomprensibile. E questo a prescindere dal valore delle fotografie. Il testo che accompagna la foto sopra è il seguente: "Nel 1868 il Governo Federale cedette milioni di acri di terra delle Black Hills nel South Dakota alla Nazione Sioux. Anni dopo, quando l'oro venne scoperto nella zona, il Congresso ruppe l'accordo e si riprese quelle terre. Nel 1920, lo Stato del South Dakota, nel tentativo di attirare il turismo, commissionò a uno scultore [Gutzon Borglum] di modellare enormi busti sul monte Rushmore. I Sioux considerano ancora le Black Hills come la loro terra sacra. Nel 1980 la Suprema Corte decretò un risarcimento di 17 milioni di dollari più un interesse calcolato a partire dal 1877 come compensazione. Il premio è ora valutato in 300 milioni di dollari, ma i Sioux continuano ancora a rifiutare sia i soldi che la cessione della terra". Una storia di sopraffazione, che ci racconta molto dell'atteggiamento "coloniale" tenuto dagli americani bianchi nei confronti dei popoli indigeni. La foto è particolarmente riuscita perché ci mostra un aspetto particolare di un luogo stra-fotografato. Ma questi due aspetti difficilmente avrebbero potuto incontrarsi senza la lunga e circostanziata didascalia sopra. In effetti capita di frequente che, quando il fotografo decide di riprendere dei luoghi significativi, ci siano poche possibilità di trasmettere direttamente, col solo linguaggio delle immagini, il concetto di fondo. In effetti le fotografie hanno una capacità narrativa poco efficace, se prese da sole. E' invece incredibile quanto - una volta affiancate da accorte parole - possano sbocciare e dirci un'infinità di cose, emozionarci e renderci la comprensione di eventi anche complicati se non facile, di sicuro più agevole. La domanda che resta è: si tratta di un tradimento della fotografia? Sono sincero: non so rispondere. Ma a me sembra di no. Anche un dipinto o una scultura possiamo ammirarli per come sono, ma non li comprenderemo davvero senza saperne un po' di più, senza un titolo esplicativo, senza un "didascalia", e questo vale ancor più per l'arte contemporanea. Eppure nessuno accusa Picasso di aver dipinto qualcosa di inesplicabile nel momento in cui ha concepito "Guernica", il cui tema è oggi chiaro solo grazie al titolo e alle spiegazioni dei critici d'arte. Così, sapresti dirmi cosa racconta la foto sopra? Si vede un grande albero immerso nella luce dell'alba e dietro una strada. Ci saranno milioni di località così. Eppure questa è la prima foto che Sternfeld ha realizzato per il suo progetto: si tratta di un melo a Central Park (New York) sotto cui venne rinvenuto, il 26 agosto del 1986, il corpo senza vita di Jennifer Levin. Un omicidio, dunque. Sternfeld passava di là di mattina presto e rimase colpito dalla bellezza della luce, dalla serenità della scena a contrasto con la memoria dell'evento delittuoso. Scommetto che anche tu - com'è capitato a me - ora "vedi" e percepisci queste sensazioni, ora che sai "tutto". Ma senza queste note, sarebbe davvero stato difficile arrivare a comprendere pienamente la foto, non trovi? Altro esempio. Tra gli anni '20 e gli anni '50 l'esercito americano e la Hooker Chemical Corporation scaricarono nel Love Canal, a Niagara Falls (New York), almeno 200 diverse tipologie di sostanze chimiche altamente tossiche, molte delle quali contenevano diossina, che ben conosciamo anche in Italia. Nel 1953 la Hooker ricoprì la discarica chimica e vendette il terreno, tra l'altro anche al Niagara Falls Board of Education (corrispondente a un nostro Provveditorato agli Studi) che vi costruì una scuola. L'azienda fece sottoscrivere ai compratori un contratto in cui si specificava che non sarebbe stata ritenuta responsabile per qualsiasi danno fosse accorso negli anni a seguire. Negli anni '70 si verificarono innumerevoli casi di bambini nati deformi e una quantità abnorme di tumori in tutta la zona. Alla fine lo stato di New York acquistò oltre 500 case prossima all'area inquinata e trasferì tutti i residenti in zone più sicure. Nella foto vediamo appunto una delle casette che da allora giacciono abbandonate nella "terra dei fuochi" americana. Storia davvero triste, ma guardando alla foto avresti mai potuto comprenderla? Ovviamente no. Ma se leggi le righe qui sopra e guardi alla foto, la magia avviene. Il testo e la foto dialogano, ognuno giustifica l'altro, lo motiva, lo rafforza. Naturalmente questo significa che un simile progetto va concepito avendo bene in mente il "canale" con cui verrà diffuso. Una mostra è certo meno adatta di un libro, perché difficilmente le persone leggono testi lunghi mentre visitano una galleria o un museo. Ma il libro fotografico è in tal senso assolutamente perfetto. Mi permette di guardare le foto e leggere con calma la lunga didascalia e finalmente comprenderle. Trovo che sia come una sorta di "illuminazione", qualcosa di molto "Zen" (foto del libro tratte da Internet). Ci sono ancora molti che ritengono che le foto dovrebbero parlare da sé, che scrivono S.T. (Senza Titolo) accanto alle proprie opere, che si ostinano a evitare qualsiasi didascalia, che creano libri con sole foto e testi quasi assenti.
Rispetto tutte le opinioni, e credo che solo l'Autore possa decidere, e sia dunque libero di scegliere una strada piuttosto che l'altra. Dal punto di vista dello spettatore, però, io credo che poter comprendere in modo chiaro il "messaggio" sia di certo preferibile!
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