Non so quanti anni hai tu, ma io i commercianti di fotocamere me li ricordo bene. Prima che arrivassero Amazon e eBay, prima che tutte le catene di elettronica e fotografia aprissero i propri negozi virtuali, avevi un solo, unico modo per acquistare fotocamere, obiettivi, pellicole e accessori: andare da un negoziante, scrutare la vetrina con fare ansioso, chiedere informazioni e farti aiutare a fare la scelta giusta (e molto spesso quella sbagliata). La mia prima fotocamera seria è stata una Olympus OM 10 col suo manual adapter e lo Zuiko 50 mm. Il mio amico negoziante non mi aveva consigliato male, anzi. Se non altro non si era limitato ad andare sul tradizionale proponendo una Nikon, una Canon, una Pentax. Se non eri esperto, non avevi a disposizione i Forum, le opinioni di migliaia di "utenti", i test strumentali, le prove sul campo: o ti affidavi alle riviste di fotografia (e quanto attendevi che si decidessero a provare la fotocamera che a te interessava!), oppure guardavi negli occhi il negoziante e cercavi di capire se ti stava onestamente consigliando per il tuo bene, o solo cercando di svuotare il magazzino, offrendoti l'affare del secolo. La verità è che la scelta era molto più limitata, e la durata media dei materiali era assai più lunga.Tra "obsolescenza programmata" e superamento della tecnologia, si può ben dire che oggi la vita media di una fotocamera sia stata come minimo decimata. Sembrerebbe un'ottima occasione per i commercianti di materiale fotografico: per loro sfiga, tutto questo ha corrisposto anche con l'avvento del commercio elettronico, e i vantaggi sono presto stati superati dalla concorrenza agguerrita, e dai prezzi ribassati, di chi opera online magari standosene in un qualche paradiso fiscale. Io la prima fotocamera digitale (una Nikon D100) l'ho acquistata in un negozio, dalla mia amica commerciante. Pensavo di fare un acquisto a lungo periodo, che quell'aggeggio elettronico sarebbe durato quasi come la mia F3 o la mia F801. Ma già due anni dopo era obsoleta e col sensore graffiato (all'epoca qualcuno ancora sosteneva che i cotton fioc fossero ideali per togliere la polvere dal sensore!). Poi è addirittura morta: il suo esoscheletro mi guarda ancora dall'alto di uno scaffale, manco fossero le ceneri di mia nonna conservata in un'urna funebre. Che qualcosa stesse cambiando me ne accorsi quando la successiva fotocamera, una professionale Nikon D2x, la pagai la stessa cifra della precedente, nonostante fosse di livello decisamente più alto. Anche questa la presi a rate in un negozio: è stata l'ultima acquistata guardando in faccia un commesso, che era anche scontroso e affatto gentile. Mi sa che alla fine sono meglio i testi impersonali di Amazon o eBay. E pensare che un tempo, da ragazzino, sognavo quasi più di fare il venditore di fotocamere che il fotografo. Mi sembrava un personaggio fighissimo: poteva toccare un sacco di fotocamere, obiettivi e accessori, vedere come funzionavano, mettersi a disquisire per ore con un appassionato prima di vendergli la fotocamera su misura per lui. Ecco, il primo problema è proprio questo. Che di fatto già allora erano ben pochi i negozianti disposti a consigliarti per il tuo bene, e non per il loro soltanto, e spesso avevano poco tempo per mettersi a studiare e maneggiare ogni fotocamera che gli entrava in negozio, o impararne i dettagli. Decisamente avevo un'immagine romantica del venditore di fotocamere. Anche perché non sono uno a cui piace cambiare fotocamera. Fosse per me, mi terrei sempre la stessa a vita, come accadeva un tempo. Mio padre aveva una Rolleicord 6x6 con cui faceva i matrimoni, poi la passò a mio fratello, che la fece anche cadere in mare (senza danni!), e infine giunse tra le mie mani che, qualche anno fa, ne decretai la morte (sono stato sempre il più maldestro, in famiglia, mannaggia!). Questa storia credo di averla già raccontata, ma mi sembra significativa. Lo scorso anno mia zia mi ha regalato la sua Voigtlander, ancora funzionante, con cui ha documentato ben più di mezzo secolo di storia familiare. Per dire. Ho anche un rapporto un po' strano con le mie fotocamere: mia moglie sostiene che accarezzi più loro che la nostra gatta, e in effetti è vero. Ogni tanto vado nella vetrinetta dove raccolgo le fotocamere vintage della mia modesta collezione e le faccio scattare. Magari sono strano io, ma mi sembra che le fotocamere abbiano un'anima (in senso lato), che siano uno strumento malleabile tra le nostre mani. Non sono simili a un martello o a una pala, semmai somigliano a un paio di pantaloni o di scarpe. Sai bene che se i pantaloni stringono sono scomodi, e se le scarpe calzano male ti verranno le vesciche. Ecco, se avessi i soldi mi farei fare una fotocamera su misura. So bene cosa mi serve, e so altrettanto bene che sinora ogni fotocamera che ho avuto è stata solo un compromesso. A volte molto buono: la mia Olympus E-PL5 è stata davvero la mia compagna fedele, poi sostituita da una Panasonic G7. Ho provato la E-PL 7 e la OM-D1 Mk3 e niente, non è scattato il feeling. Eccellenti fotocamere, magari dovrei imparare a conoscerle meglio, ma mi chiedo perché dovrei farlo, visto che la mia piccola fotocamera ancora funziona benissimo. O c'è una coazione a comprare sempre una fotocamera nuova, così, tanto per andare in giro a mostrarla agli amici, o mettere un post su Facebook annunciando il nuovo acquisto? Roba da scellerati, non da fotografi. Davvero non avrei la stoffa per fare il venditore di fotocamere.
Se mai lo fossi diventato, e avessi visto un giovane avventore venire da me per chiedere consiglio, non gli avrei chiesto - come prima cosa - il suo "budget", che è quello che fanno tutti i commercianti ("quanto puoi spendere? Eh, con questa cifra non è che puoi prendere chissà cosa...).Semmai avrei parlato con lui di fotografia. E di altro. Cos'è che ti piace di questa forma di espressione personale? Perché vuoi fotografare e quali soggetti prediligi? Vuoi solo fare un bell'album di famiglia o fare le cose sul serio? Fotografia di viaggio, naturalistica o reportage? E cos'altro ti piace, a parte la fotografia? Ti fermi mai a guardare le nuvole passare? Guardi mai l'erba nei prati, le fronde degli alberi, i volti delle persone che passano? Ti commuovi mai davanti un'alba o un tramonto? Sembrerei scemo, lo so. Davvero non sarei mai potuto diventare un gran venditore di fotocamere!
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Ricorreresti a un bulldozer per piantare un cespuglio di rose nel tuo giardino o (peggio) in un vaso? Scommetto di no. Eppure molti appassionati di fotografia fanno esattamente questo quando - per realizzare le proprie fotografie non certo "estreme" - ricorrono a fotocamere superprofessionali e di altissime prestazioni. Mi dirai: e perché no? Se uno può permetterselo, perché non farlo? E' vero: puoi piantare le tue rose con un bulldozer, ma potresti utilizzare una maggiore cura e delicatezza, concentrandoti sul gesto e non sul mezzo, ad esempio. Sto leggendo con grande soddisfazione un libro che raccoglie gli articoli pubblicati su "Vie Nuove" da Ando Gilardi (edito da Fototeca Gilardi, l'ho acquistato sostenendo il relativo Crowdfunding) tra il 1964 e il 1970, e mi diverte molto vedere come il fotografo, col suo spirito schietto e corrosivo, sosteneva la necessità di essere frugali già in quell'epoca. Insomma, i fotografi amano i bulldozer anche quando gli basterebbe una piccola pala, e non da oggi. Ma la diffusione del digitale ma soprattutto di Internet ha reso tutti dei fieri conducenti di poderosi Caterpillar e pale meccaniche, e diciamo che non c'è niente di male in questo. Più o meno. Siamo tutti - noi fotografi - appassionati di fotocamere, obiettivi e accessori. Semmai quel che mi sento di contestare è questo possente spostamento dell'attenzione sull'aspetto meramente tecnico invece che su quello creativo e comunicativo, o - per meglio dire - dalla tecnica di ripresa alla tecnica dell'oggetto utilizzato per riprendere. Che era poi quello contro cui si scagliava (temo inutilmente) il buon Gilardi. Convinto che un fotografo dovesse saper usare al meglio qualsiasi fotocamera (e pellicola, e obiettivo e quant'altro), senza pensare però che un insieme di "ferro" e vetro potesse sostituire in qualche modo il suo cervello. Figuriamoci, oggi le fotocamere hanno una "intelligenza artificiale", che spesso si dimostra anche superiore a quella dei loro acquirenti! Il rischio è che per piantare la tua rosa, tu distrugga il giardino con i cingoli del bulldozer. Fuor di metafora, questo significa che concentrandoti sullo strumento - o meglio sulla sua bellezza, tecnologia, importanza, spesso indiscutibili - tu possa decisamente esagerare. Internet in effetti è stracolmo di foto che io definisco "sovra-ingegnerizzate", e basta leggere il testo che le accompagna - in genere - per rendersene conto: non si parla quasi mai di "ispirazione" o di idee, di comunicazione o di emozione (se non in senso superficiale), ma di lenti e fotocamere, di tempi di esposizione e filtri ND, di tecniche più o meno speciali (HDR, focus stacking, ecc.) e così via.
Il risultato sono spesso immagini perfettamente realizzate ma francamente un po' vuote, in cui tale vuoto è riempito dalla "spettacolarità". Spesso, dico davvero, mi sembrano occasioni perse. Vedo così tanti giardini devastati dai cingoli di pale meccaniche! Bravi fotografi che si lasciano conquistare da una tecnica o dal numero di megapixel, come se questo potesse supplire a quello che è il male del secolo (e forse lo è sempre stato): l'insicurezza. Di cui soffriamo tutti, sia chiaro, specialmente se fotografi! NOTA - Le due foto che illustrano il post sono state realizzate con una Holga 6x6 cm "hackerata" per montare un 28 mm per il formato 135 (24x36 mm) e negativo di carta. Il soggetto è una stazione ferroviaria abbandonata. Le foto (già ovviamente circolari, visto che l'obiettivo non copre il formato nettamente più grande) sono state inserite su fondo bianco. Non c'è dubbio che Ansel Adams sia il fotografo di paesaggi naturali (in bianco e nero) più famoso al mondo, il più imitato, anche. Durante la sua lunga carriera ha prodotto fotografie che oramai sono delle autentiche icone, ma si è molto impegnato anche nella divulgazione oltre che nella salvaguardia del patrimonio ambientale statunitense. Insomma, una figura a tutto tondo, inserita tra l'altro in un contesto storico in cui erano attivi - e spesso suoi amici - tutti i maggiori fotografi americani della storia: da Stieglitz a Weston, da Dorothea Lange a Imoghen Cunningham. Scusa se è poco. Ovviamente, come fotografo paesaggista (in bianco e nero) sono anch'io un fan di Adams, sebbene abbia un approccio al soggetto profondamente diverso. Sono emerso proprio oggi dalla lunga lettura delle immagini contenute nel libro "400 photographs", una sorta di "best of" del grande fotografo californiano, e ho letteralmente assorbito ogni singola fotografia, riflettendo a lungo su ciò che poteva insegnarmi. Il libro è organizzato in modo cronologico, ed è interessante vedere l'evoluzione nel tempo della sua tecnica e della sua filosofia di ripresa. Ovviamente ognuno può farsi un'idea personale delle fotografia che "legge" e analizza, così non voglio ora certo fare un'analisi critica della sterminata produzione di Adams. Ammesso sia possibile, ci vorrebbe troppo tempo e impegno. Mi piacerebbe però rilevare qualche aspetto che mi ha colpito. Oggi viviamo in un'epoca in cui certa fotografia di paesaggio sembra essere vissuta come un puro "atto eroico": levatacce, lunghi sentieri percorsi al buio e a rischio di precipitare, luoghi esotici e lontani, difficili da raggiungere, in cerca della situazione più incredibile e spettacolare. Roba per eroi, mica per gente comune. Perciò è singolare che il più grande fotografo di paesaggio della storia (Adams) abbia scattato la stragrande maggioranza delle sue foto più famose a pochi metri dalla sua auto, a volte direttamente dal tetto della stessa, dove aveva sistemato un'apposita piattaforma! In molte fotografia si intravede in effetti la presenza della strada. Solo negli anni '20 e '30 realizzò delle foto durante dei trekking (ad esempio "Monolith"), ma in genere preferiva posti comodi, anche perché utilizzava pesanti fotocamere a banco ottico. Le strepitose fotografie di Yosemite, come quella sopra, vennero realizzate da "New Inspiration Point", un belvedere ancora oggi molto frequentato e praticamente lato strada. Il punto è talmente circoscritto che foto realizzate anche ad anni di distanza presentano un'inquadratura quasi identica, pur essendo diverse per luce e condizioni atmosferiche. La famosissima "Clearing Winter Storm" (sotto) è stata scattata praticamente dallo stesso punto della foto sopra, realizzata però un anno dopo (1945). In verità, si può dire che di rado Ansel Adams abbia lasciato la sua amata California per fotografare altrove: fece un tour dei Parchi Nazionali americani per un progetto specifico, viaggiò in Canada e fece qualche raro viaggio all'estero, ma nel complesso tutta la sua opera è stata portata a compimento in aree che ben conosceva, frequentava assiduamente e fotografava ripetutamente. Yosemite e la High Sierra soprattutto. Ora, è vero che sono posti straordinariamente spettacolari, ma ve l'immaginate un fotografo di paesaggio contemporaneo che costruisca una carriera scattando le proprie foto solo (per esempio) nel Parco Nazionale d'Abruzzo, e al più effettuando qualche "scappatella" sul Gran Sasso e la Maiella, oltretutto senza lunghe e complicate escursioni in quota, ma sfruttando solo dei precisi "vantage points" ben posizionati? La lezione da imparare, insomma, è che è lo sguardo e la sensibilità del fotografo, ancor prima della tecnica (seppur sopraffina) a fare davvero "grande" un fotografo. Questo mi da anche l'occasione di osservare quanto sia cambiato il modo di fotografare, e di guardare al paesaggio, negli ultimi anni. Ho analizzato per bene le foto di Adams, e letto le sue dichiarazioni. In pratica non utilizzava mai dei veri e propri grandangoli, anche perché il banco ottico da questo punto di vista non offriva molte possibilità. Solo quando avviò la collaborazione con Hasselblad ebbe a disposizione un 55 mm (che sul 6x6 cm è un bel grandangolare), che utilizzò di rado. Tutta la sua "poetica visiva" è basata su obiettivi con una angolo di campo che va dal "normale" al moderato teleobiettivo. Lo scopo era ottenere immagini "naturali", senza deformazioni, e in cui erano la composizione e la scelta del punto di vista (oltre che la luce) a fornire spettacolarità alla scena. Non a caso amava fotografare le montagne e i paesaggi ariosi, e solo nelle foto di architettura "allargava lo sguardo" con obiettivi più corti. Oggi invece c'è la corsa al grandangolo più spinto possibile, e non è un fatto meramente tecnico: questi obiettivi permettono più facilmente di creare composizioni in cui si ha un elemento in primo piano che risulta inserito nel contesto e che crea un effetto tridimensionale, spingendo lo sguardo dello spettatore direttamente dentro la scena. E' un male? No, anzi: ma è un bello stacco rispetto alla metodologia di Adams e degli altri fotografi di quel periodo storico. Inoltre, era assai difficile, allora, esagerare inseguendo la spettacolarizzazione forzata, mentre oggi questi obiettivi straordinari possono portare a eccessi davvero insopportabili. Se ripenso alle 400 foto di Adams che ho appena studiato, posso dire che solo poche (in effetti le più famose) possono essere definite "spettacolari", le altre sono "solo" grandi foto, molto più tranquille, per così dire. E questo ci porta all'ultimo elemento che mi è saltato agli occhi: la luce. Complice l'uso della pellicola bianco e nero, e il controllo che sapeva farne grazie al Sistema Zonale, Adams non scattava affatto sempre all'alba o al tramonto, come sembrano essere "obbligati" a fare i fotografi di oggi. Ci sono foto scattate anche a mezzogiorno, e una larga parte sono realizzate in orari "normali", magari in tarda mattinata o primo pomeriggio. Non solo: ci sono molte foto di "backstage" che dimostrano che Adams fotografava spesso con il sole, non per forza in giornate tempestose. Come dico sempre, la giornata è di 24 ore, e di certo ci sono almeno 6-8 ore di luce adatta a fotografare senza problemi particolari: perché accidenti limitarsi all'alba e al crepuscolo?
Ad esempio molte delle foto che Adams ha realizzato nei boschi (famose le sue betulle) sono state scattate in giorni di sole, avendo l'accortezza di trovare aree immerse nell'ombra. Basta sapere quel che si vuole ottenere. Insomma, Adams non era affatto uno a cui interessava complicarsi la vita, tutt'altro. Basta confrontare le pacate immagini di Adams all'opera dietro la fotocamera, con la sua giacchetta e il cappello a falde larghe e l'intramontabile esposimetro Weston al collo con gli autoritratti di certi (famosi) fotografi di oggi, con il loro vestiario tecnico in Gore-Tex, gli occhiali a specchio, mentre se ne stanno appollaiati su una cima impervia... per capire che le cose sono davvero cambiate. Non è detto per il meglio. Guarda la foto qui sopra. Come analizzarla? bene, ti posso dire che è stata scattata con una vecchia fotocamera degli anni '50, una Vredeborch Felica 6x6, e a questo si deve l'aspetto particolare della foto stessa. D'altra parte la fotocamera possiede una lente a menisco e dunque rende bene al centro ma ai bordi molto meno. Ma a me questo piace. Potrei aggiungere che si tratta di un dettaglio significativo, a livello geologico, dell'area di Ferento, a Viterbo, nota per il sito archeologico dell'antica città. Ma detto questo, ti resterebbe il dubbio sul perché, alla fine, abbia scattato la foto. Mi verrebbe da fare come Michelangelo con la sua statua, gridando "perché non parli?!". E dillo quel che hai da dire, accidenti! Ma niente, se non ti spiego le motivazioni dietro la foto - che sono tutte nella mia testa - tu non potrai mai capire. La foto rappresenta una bancata di roccia che un tempo era sotto la superficie del mare, come si può capire dai fori - che nella foto si intravedono - creati dai molluschi che vivevano nascosti in gallerie, i cosiddetti "datteri di mare". Poi ovviamente si nota una galleria, forse etrusca, che serviva a drenare il pianoro soprastante. Milioni di anni di storia in una fetta di roccia sedimentaria, insomma: dalle antiche ere geologiche di quando la Tuscia nemmeno esisteva ed era sott'acqua, alla Storia vera e propria, con la S maiuscola... La foto successiva in qualche modo si connette alla precedente. siamo sempre a Ferento, stessa bancata rocciosa (anche se in un altro punto) che qui è stata scavata per ottenere un'abitazione rupestre, divisa in più vani. L'ambiente che vediamo era una stalla (lo si intuisce dalla mangiatoia a sinistra). L'atmosfera fumosa e umida (era in corso un fortissimo temporale) diffonde la luce e riporta ai tempi passati (uno, due secoli fa) quando qui fervevano le attività agricole. Queste due foto rappresentano alcuni aspetti del geosito "Ferento" (proposto ufficialmente per il Geoparco della Tuscia), raccontandoci sia la tipologia rocciosa sia l'uso che l'uomo ne ha fatto nel corso del tempo, ma senza questa mia spiegazione non avresti mai potuto saperlo, o intuirlo. Potevi al massimo comprendere il perché abbia scattato le foto con la Vredeborch: per suggerire qualcosa del passato, qualcosa di antico, di senza tempo. La verità è che le foto non parlano, se non per quel che rappresentano, letteralmente. La storia da narrare deve essere per forza dentro la foto stessa, altrimenti serve un intervento esterno: la didascalia, o il testo di accompagnamento. E' questa la dannazione di tanti fotografi, che trovano questa limitazione insopportabile. Io francamente non la vedo così: trovo che questo supposto "silenzio" delle fotografie sia invece la loro vera voce, e dovremmo lasciarle parlare liberamente, anche se a volte non dicono esattamente quel che vogliamo. La lettura va lasciata allo spettatore, giocoforza, e noi possiamo solo sperare che quanto inserito nelle foto sia sufficiente a rendere il tutto comprensibile in maniera sufficiente. Ma se anche così non fosse, ma le foto vengono comunque apprezzate... beh, va bene lo stesso!
Anche perché possiamo sempre lavorare con più foto, che pian piano vanno delimitando il quadro, rendendolo più comprensibile. Ancora una foto fatta a Ferento con la Vredeborch, stavolta è il basamento di una chiesa medievale sul pianoro della città. Ancora protagonista la roccia - anche se diversa - ancora il tempo, la storia, il passato, la malinconia. Ma le tre foto - messe assieme - sono già una descrizione, raccontano un aspetto minimo, ma pure importante, di una realtà territoriale, possono costituire la base per un racconto più ampio. E di certo qualche didascalia ben fatta può comunque esplicitare il nostro pensiero così che alla fine la nostra voce può unirsi a quella delle foto. L'importante è non darlo mai per scontato. La fotografia, se vuol farsi narrazione - o almeno descrizione più o meno accurata e partecipata - richiede impegno e mente aperta. Insomma, fare click è davvero l'ultima delle nostre preoccupazioni! Scommetto che ti hanno sempre detto che la fotografia è una passione costosa, che per ottenere risultati davvero eccellenti non puoi non possedere una fotocamera di alto livello e "lenti" altrettanto di qualità.
E se ti dicessi che è assolutamente falso? La mia fotocamera più "performante" (in termini meramente numerici) è una APS-C da 20 megapixel, consente di ottenere files stampabili senza problemi anche nel formato 70x100 cm e più, ha tutto quel che serve per gestire nel miglior modo possibile i parametri della ripresa, un display OLED touchscreen davvero comodo, e oltretutto è compatta e abbastanza leggera. Con il suo 16-50 mm riesco a ottenere foto di cui sono pienamente soddisfatto, specialmente quando penso a quanto l'ho pagata: 70,00 € (solo corpo), naturalmente usata! Dirai: com'è possibile? Semplice, si tratta di una mirrorless Samsung del 2013 (la NX300), e visto che la casa coreana è uscita dal mercato strettamente fotografico già da qualche anno, le sue fotocamere (di altissima qualità, basta leggere le recensioni pubblicate a suo tempo sui vari siti online) hanno subito un rapido deprezzamento. Inoltre il mio esemplare ha un piccolo difetto: la rotellina che serve a cambiare i parametri è rotta, sebbene sia possibile utilizzare per lo stesso scopo il display touchscreen, e questo ne ha ulteriormente abbassato il "valore". Molti fotografi non accetterebbero mai di avere un modello obsoleto (anche se assolutamente valido), tanto meno un esemplare difettato. A me invece non importa e nel tempo ho acquistato diverse fotocamere a prezzi stracciati, che utilizzo col cuore leggero concentrandomi assai di più sui soggetti che alle specifiche tecniche della fotocamera stessa. Ma non voglio certo convincerti a fare lo stesso. Se desideri e puoi permetterti una "Super Full Frame" del valore di diverse migliaia di euro va benissimo lo stesso, ma il punto vero è: se disponi anche solo di 100,00 € puoi avere comunque una buona fotocamera, non top di gamma ma sufficiente per la gran parte degli utilizzi. In ogni caso non è lei a fare le foto: sei tu! Insomma, come ho scritto nel post della settimana scorsa, per imparare a fotografare in modo adeguato ti serve ben altro che una fotocamera: ti serviranno fantasia, impegno, ironia, curiosità, competenze... tutte cose che purtroppo non puoi comprare, sebbene tu possa magari avvantaggiarti seguendo un corso (come il mio corso "Smettere di Essere Principiante" realizzato assieme a Reflex-Mania) o leggendo dei libri (anche in questo caso ti consiglio di dare un'occhiata alle mie pubblicazioni). Sono strumenti in grado di accorciare i tempi ed esaltare le tue capacità, ma comunque la gran parte del lavoro spetta a te. E davvero questa è l'aspetto più intrigante della fotografia! |
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