MARCO SCATAGLINI
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Lo Zen e l'arte di costruire fotocamere

9/8/2020

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Va bene, faccio un po' di "outing": io a costruire "cose" sono una frana (e a ripararle sono anche peggio). Dunque sembrerei proprio la persona sbagliata per realizzare un "instructable" in cui spiego per filo e per segno come costruire una fotocamera, stenopeica in questo caso. Figuriamoci.
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Non che non ci provi a far le cose per bene, sia chiaro. Anzi, sono intriso di spirito Zen e mi metto lì con calma, deciso a realizzare qualcosa di cui l'Universo stesso andrebbe fiero. Il tempo è annullato, così anche fretta. Ma niente, alla fine è sempre un disastro: almeno a vedersi, perché poi, per fortuna, queste fotocamere orrende funzionano e detto tra noi è una bella consolazione.

Tanto fotografo il più delle volte in luoghi solitari, dunque nessuno vedrà i miei sgorbi!

Ad ogni modo, stavolta avevo deciso di fare le cose "ancora più bene". Purtroppo non sono molto attrezzato: ad esempio non ho una sega elettrica, che permetterebbe di tagliare il legno con precisione. Debbo arrangiarmi con cutter e traforo, il che esclude legni spessi e pregiati come il "compensato marino", ideale per costruire fotocamere stenopeiche perché - oltre a essere molto bello - non si "imbarca", cioè risulta stabile a livello dimensionale. Per lo stesso motivo, ma anche per ragioni di ecosostenibilità, è bene dimenticarsi legni tropicali o particolarmente costosi come il noce.
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Confesso che quando intendo costruirmi una fotocamera stenopeica di grande formato, il più delle volte ricorro al cartoncino rigido, facile da tagliare e incollare, anche se non proprio solidissimo. Ma stavolta no, volevo qualcosa di meglio.

Il progetto prevedeva di realizzare una fotocamera 9x13 cm, in modo da utilizzare la metà di un foglio di carta fotografica BN del formato 13x18 cm. Dunque ci voleva un compensato abbastanza sottile, tipo 5 mm, visto che l'insieme era piuttosto compatto. Ma poi come lo avrei tagliato con precisione? Già prefiguravo disastri.

Un giorno però, mi capita tra le mani una cassetta di legno, di quelle in cui nei supermercati vengono venduti mandarini o albicocche "al chilo". In verità stavo per buttarla, quando ho notato che il compensato di cui era fatta - sottile e grezzo, davvero bruttissimo - era decisamente morbido e facile da tagliare. Eureka! Ecco il legno, oltretutto riciclato, facile da tagliare e da montare, che mi serviva!
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Con mio dispiacere ho scoperto poi che il legno era non solo pieno di fibre e piuttosto restio ad essere tagliato con il cutter, ma anche insufficiente alle mie necessità, motivo per cui la mia 9x13 cm è diventata una 8x12 cm, che è pure 2:3, dunque meglio (bisogna sempre far buon viso a cattivo gioco).

Sudando e sbraitando - ma in modalità Zen, s'intende - alla fine ottengo tutti i miei pezzi, assolutamente precisi... ehm, insomma, abbastanza precisi. Con la colla vinilica e alcune spille riesco a montare i due gusci, uno rientrante nell'altro, con la parte anteriore leggermente più larga per creare il battente a tenuta di luce. Inserendo il foglio nel guscio più grande, quando si chiude la fotocamera il guscio più piccolo fa da "pressapellicola" e tiene fermo il foglio, come nella Ilford "Obscura", una fotocamera pinhole che però costa quasi cento euro. La mia invece costa... niente.
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Scopro presto che il legno è talmente diafano che lascia passare la luce per trasparenza, così oltre a dipingere di nero opaco l'interno, rivesto l'esterno con nastro telato, anche per nascondere le scritte stampate sulla cassetta della frutta, sebbene facessero un interessante effetto "kitsch".

Con due piccoli magneti e un pezzetto di latta creo l'otturatore. Il foro stenopeico lo realizzo da me (0,20 mm circa). Visto che la scatoletta è spessa 37 mm, il diaframma è circa f/180.

​C'è da dire che dato il formato del negativo, la mia fotocamera è molto grandangolare (corrisponde a circa un 16 mm sul 135) e, come scopro portandola sul campo, è anche mooolto nitida, nei limiti di una pinhole. Brutta è brutta, lo so, ma io già l'adoro, manco fosse una Hasselblad!
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Per chi si chiedesse a cosa servono i due elastici, è il modo in cui si riducono i "light leaks", le infiltrazioni di luce. Ho fissato una sottile guarnizione gommosa sul bordo e quando gli elastici premono i due gusci uno contro l'altro la tenuta è perfetta. Con un pezzetto di nastro biadesivo ho anche fissato una livella a bolla sulla parte superiore, mentre per montare sul treppiedi la fotocamera utilizzo un comodo morsetto di quelli per smartphone, acquistato per 5 € su ebay.

Anche se è ovvio, ti ricordo che le foto che illustrano l'articolo (a parte quelle della fotocamera stessa) sono state scattate con il mio gioiellino (ehm...).
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Giocando con lo scanner (Scanography e dintorni)

4/8/2020

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A dire il vero avevo pensato a questo post durante il "lockdown", per motivi che a breve ti sembreranno ovvi, ma poi il tempo è passato e dunque ne parlo ora. In effetti è valido anche come "gioco" (serio) estivo.

Si tratta infatti di un "divertissement" fotografico che permette di creare immagini "cameraless" in modalità digitale. Le tecniche "senza fotocamera" come il Lumenprinting, infatti, in genere vengono realizzate grazie a superfici sensibili analogiche, quali la carta fotografica Bianco e Nero. Ma se non vogliamo sbatterci troppo, in nostro aiuto viene lo scanner
, proprio quello piano, utilizzato per digitalizzare documenti e primo accesso al mondo digitale dei fotografi di vent’anni fa, quando già esistevano i computer casalinghi ma non le fotocamere digitali. Anch’io le prime foto “digitali” che ho “postprodotto” le ho ottenute scannerizzando delle semplici stampine 10x15 cm da negativi a colori.
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Bene, lo scanner – acquistabile oltretutto a prezzi davvero convenienti – può essere la nostra superficie sensibile virtuale, con cui realizzare “fotogrammi” di altissima risoluzione e dalla caratteristica resa, secondo la tecnica detta Scanografia.

Il sistema più semplice e ovvio è collocare un soggetto sul vetro dello scanner e avviare la scansione. Visto che la “profondità di campo” dello scanner è molto ridotta (in fondo deve riprodurre soggetti piatti!) le immagini così ottenute sono perfettamente a fuoco nelle parti che aderiscono al vetro e via via più sfumate nelle parti più distanti; lo stesso avviene con la luce, che ricorda quella dei flash anulari, con una rapida caduta della luce nelle parti più lontane dal vetro. Tutto questo contribuisce a creare un’iconografia tipica, che può essere sfruttata in senso creativo.
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Ci sono molti fotografi – soprattutto di fiori e di piante – che hanno fatto dello scanner il proprio strumento fotografico d’elezione, a volte esclusivo, con risultati molto pittorici e decorativi. Ellen Hoverkamp è ad esempio una fotografa specializzata nel creare illustrazioni botaniche per l’editoria, tutte realizzate grazie allo scanner.
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Ma vediamo insieme come fare. La prima cosa da osservare è che, visto che si deve tenere aperto lo scanner, è importante collocare un cartoncino nero (o bianco) al di sopra del soggetto, per uniformare lo sfondo. Fai in modo di tenere a una certa distanza il cartoncino (o anche un pezzo di stoffa, o altro). La soluzione più pratica è ricorrere a una scatola delle dimensioni dello scanner, dipinta all’interno di nero opaco.


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Puoi collocare il tuo soggetto sul vetro con sopra la scatola ed eseguire la scansione, seguendo le istruzioni del tuo scanner ed utilizzando il software che viene fornito con lo stesso. Conviene eseguire un’anteprima per verificare che sia tutto a posto. E’ particolarmente importante fare in modo che sia il soggetto che il piano di vetro dello scanner siano ben puliti, in quanto la scansione evidenzia ogni pelucchio o residuo, il che ti costringerebbe poi a un lungo lavoro si “spuntinatura” via software.
Come esempio, ho scelto di eseguire una scanografia di un mazzo di fiori di lavanda. Una volta eseguita l’anteprima il risultato è più o meno questo.
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Considera che nel mio caso lo scanner è della Epson (un V37), e dunque il software potrebbe apparire differente. Ma grossomodo i comandi sono sempre gli stessi. Imposta una risoluzione alta per avere più dettaglio (a 600 dpi la foto è già di 35 megapixel!) e salvala in TIF. Purtroppo gli scanner non salvano in formato RAW, dunque il TIF è la soluzione migliore, meglio se a 16 bit (48 bit totali, sui tre canali RGB).

Salvata la foto, dovrai postprodurla per convertirla in bianco e nero (nell'esempio qui sotto ho usato Lightroom), procedendo come faresti con qualsiasi altra foto. Noterai subito che comunque l’aspetto complessivo della foto è particolare: in questo consiste in fondo l’interesse di questa tecnica. Ci sarà sicuramente da togliere qualche granello di polvere, aumentare il contrasto, scurire localmente il nero dello sfondo e schiarire il soggetto, in modo che quest’ultimo si stagli netto, sebbene illuminato da una luce morbida e avvolgente.
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Ora non ti resta che passare alla conversione. Nell’esempio qui sotto ho deciso di convertire la foto in Bianco e Nero e applicare anche un po’ di “split toning”, che credo si adatti al soggetto (seppia+ciano), ma ovviamente è questione di gusti.
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Il risultato finale , sebbene il soggetto lo abbia scelto solo per fare una dimostrazione, mi piace molto. Con un po’ di cura e attenzione è possibile ottenere delle immagini davvero valide.
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A parte piante e fiori, ideali perché generalmente colorati e sufficientemente piatti, puoi scansire praticamente qualsiasi soggetto. Con quelli molto spessi, otterrai delle illuminazioni strane, il che dovrebbe accendere la scintilla della tua creatività.
Cercando in casa ho trovato una statuetta che riproduce un’antichissima divinità della Sardegna, e mi son divertito a scansirla e poi convertire la foto in BN.
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Come vedi, la luce l’ha come “affettata” con sezioni di luminosità diverse, sottolineandone alcuni aspetti (il volto, il grande seno, le gambe) e restituendo un’immagine che non è la mera riproduzione dell’oggetto iniziale che, anzi, viene quasi trasfigurato e reso irriconoscibile. Spero che tu inizi a intravedere le possibilità creative che tutto questo può offrirti!
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Visto che lo scanner non “scatta una foto” del soggetto, ma lo scansisce riga per riga, è anche possibile muovere il nostro soggetto, creando distorsioni ed effetti interessanti. Non è facilissimo creare delle distorsioni accettabili, ma con un po’ di tentativi alla fine si inizia ad avere il controllo anche di questa tecnica.

Nell’esempio qui sotto ho fatto partire la scansione (senza la scatola dipinta di nero, ovvio) e ho spostato la statuetta mentre avanzava la scansione. Come vedi, la statuetta è irriconoscibile. Per la foto qui sotto mi sono limitato a ruotare parzialmente la statuina durante la scansione, e il risultato la fa apparire come ammorbidita, quasi più “viva”.
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Con pochi movimenti e un po’ di pazienza puoi ottenere innumerevoli versioni dello stesso soggetto. Già che c’ero – e visto che anche a me la faccenda ha preso la mano – ho collocato un’altra statuetta, del Buddha stavolta, e l’ho utilizzata per creare un’altra serie di distorsioni, come quella qui sotto.
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O come questa variante.
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Insomma, mi sembra che il concetto oramai sia chiaro. Il tuo scanner può diventare quella “superficie sensibile” con cui Man Ray, Moholy-Nagy e molti altri hanno sperimentato per anni, creando un’iconografia non solo riconoscibile, ma molto efficace nel rappresentare le loro idee e lo spirito di un’epoca. Come sempre, ti consiglio di non esagerare: il successo di simili sperimentazioni, e l’esperienza di Man Ray lo dimostra, consiste nel saper controllare l’immagine grazie al buon gusto, e magari avendo qualche idea in testa.
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Inizia “giocando”, e anche esagerando, per capire “come funziona” ma, una volta compreso il meccanismo, ti consiglio di fare in modo che le tue elaborazioni siano misurate e armonizzate al soggetto. Dunque non deformazioni “tanto per”, ma realizzate con cura e intelligenza. Buon divertimento!

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    ​Autore

    Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). Per oltre 15 anni ho collaborato con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando oltre 200 reportage. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling.


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