Guarda la foto qui sopra. Come analizzarla? bene, ti posso dire che è stata scattata con una vecchia fotocamera degli anni '50, una Vredeborch Felica 6x6, e a questo si deve l'aspetto particolare della foto stessa. D'altra parte la fotocamera possiede una lente a menisco e dunque rende bene al centro ma ai bordi molto meno. Ma a me questo piace. Potrei aggiungere che si tratta di un dettaglio significativo, a livello geologico, dell'area di Ferento, a Viterbo, nota per il sito archeologico dell'antica città. Ma detto questo, ti resterebbe il dubbio sul perché, alla fine, abbia scattato la foto. Mi verrebbe da fare come Michelangelo con la sua statua, gridando "perché non parli?!". E dillo quel che hai da dire, accidenti! Ma niente, se non ti spiego le motivazioni dietro la foto - che sono tutte nella mia testa - tu non potrai mai capire. La foto rappresenta una bancata di roccia che un tempo era sotto la superficie del mare, come si può capire dai fori - che nella foto si intravedono - creati dai molluschi che vivevano nascosti in gallerie, i cosiddetti "datteri di mare". Poi ovviamente si nota una galleria, forse etrusca, che serviva a drenare il pianoro soprastante. Milioni di anni di storia in una fetta di roccia sedimentaria, insomma: dalle antiche ere geologiche di quando la Tuscia nemmeno esisteva ed era sott'acqua, alla Storia vera e propria, con la S maiuscola... La foto successiva in qualche modo si connette alla precedente. siamo sempre a Ferento, stessa bancata rocciosa (anche se in un altro punto) che qui è stata scavata per ottenere un'abitazione rupestre, divisa in più vani. L'ambiente che vediamo era una stalla (lo si intuisce dalla mangiatoia a sinistra). L'atmosfera fumosa e umida (era in corso un fortissimo temporale) diffonde la luce e riporta ai tempi passati (uno, due secoli fa) quando qui fervevano le attività agricole. Queste due foto rappresentano alcuni aspetti del geosito "Ferento" (proposto ufficialmente per il Geoparco della Tuscia), raccontandoci sia la tipologia rocciosa sia l'uso che l'uomo ne ha fatto nel corso del tempo, ma senza questa mia spiegazione non avresti mai potuto saperlo, o intuirlo. Potevi al massimo comprendere il perché abbia scattato le foto con la Vredeborch: per suggerire qualcosa del passato, qualcosa di antico, di senza tempo. La verità è che le foto non parlano, se non per quel che rappresentano, letteralmente. La storia da narrare deve essere per forza dentro la foto stessa, altrimenti serve un intervento esterno: la didascalia, o il testo di accompagnamento. E' questa la dannazione di tanti fotografi, che trovano questa limitazione insopportabile. Io francamente non la vedo così: trovo che questo supposto "silenzio" delle fotografie sia invece la loro vera voce, e dovremmo lasciarle parlare liberamente, anche se a volte non dicono esattamente quel che vogliamo. La lettura va lasciata allo spettatore, giocoforza, e noi possiamo solo sperare che quanto inserito nelle foto sia sufficiente a rendere il tutto comprensibile in maniera sufficiente. Ma se anche così non fosse, ma le foto vengono comunque apprezzate... beh, va bene lo stesso!
Anche perché possiamo sempre lavorare con più foto, che pian piano vanno delimitando il quadro, rendendolo più comprensibile. Ancora una foto fatta a Ferento con la Vredeborch, stavolta è il basamento di una chiesa medievale sul pianoro della città. Ancora protagonista la roccia - anche se diversa - ancora il tempo, la storia, il passato, la malinconia. Ma le tre foto - messe assieme - sono già una descrizione, raccontano un aspetto minimo, ma pure importante, di una realtà territoriale, possono costituire la base per un racconto più ampio. E di certo qualche didascalia ben fatta può comunque esplicitare il nostro pensiero così che alla fine la nostra voce può unirsi a quella delle foto. L'importante è non darlo mai per scontato. La fotografia, se vuol farsi narrazione - o almeno descrizione più o meno accurata e partecipata - richiede impegno e mente aperta. Insomma, fare click è davvero l'ultima delle nostre preoccupazioni!
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