MARCO SCATAGLINI
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E ora cosa gli racconto?

25/11/2021

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Una delle cose più difficili che il fotografo serio e magari evoluto deve fare è quella di scegliere il tema di un proprio progetto. Sia che si tratti di pubblicare una ezine online, o di creare una piccola pubblicazione, o un libro o anche una mostra, resta il fatto che ci vuole un'idea, e dev'essere buona, altrimenti tutti gli sforzi fatti per realizzarla saranno vani.

Certo, mi dirai, la cosa giusta da fare è dar fondo alla propria fantasia e soprattutto cercare di raccontare qualcosa che conosciamo bene, di personale, o che ci appassiona o almeno interessa. Ma questo è ovvio. In realtà simili scelte sono alla base di una qualsiasi "carriera" fotografica - professionale o meno - anche se a volte occorre prescinderne per necessità contingenti.
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Ad esempio io scatto oramai solo in Bianco e Nero o quasi, ma spesso debbo lavorare a colori per gli archivi, l'editoria o quant'altro. Però quando fotografo "per me" mi piace farlo senza i colori e a volte in analogico.
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Fatta questa necessaria premessa, di sicuro possiamo dire che a volte la scelta del tema da affrontare con le nostre fotografie è dettato anche da nostre necessità diciamo "interiori". Insomma: vogliamo vincere qualche concorso, avere successo sui Social, essere apprezzati, trovare un editore che accetti le nostre foto, e così via. Legittimo.

Sappiamo pure che realizzare una serie sul cortile di casa nostra, sebbene magari fonte di foto straordinarie, difficilmente ci darebbe quella visibilità a cui tanto aspiriamo. Dunque la domanda sorge spontanea: è possibile realizzare un progetto fotografico con dietro un'idea "popolare" senza tradire le nostre convinzioni e necessità?

Ti dico: non lo so. Anch'io mi pongo la domanda un giorno si e l'altro pure. Anche perché di questo ci ci vivo! Comunque qualche anno fa mi è stato d'aiuto un post di Riccardo Scandellari (Skande), un eccellente blogger, esperto di comunicazione online, personal branding e marketing. Nel suo campo un vero genio.
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Il suo campo, ovviamente, c'entra poco con la fotografia, ma in quell'occasione (luglio 2018) ho notato che i consigli che dava su come creare "contenuti coinvolgenti" (si riferiva a come scrivere un post) si potevano adattare anche alle nostre esigenze. Dunque li riporto qui con i necessari adattamenti, sperando di non offendere l'autore.
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Nulla di nuovo -  "Al contrario di quello che si pensa, le grandi storie aggiungono solo un piccolo tassello a quello che le persone conoscono già. I contenuti di maggiore successo concordano con quello che le persone credono facendole sentire più sicure e intelligenti. La gente, anche se non lo ammette, non ama le novità in quanto tali, amano le novità che confermano le loro credenze", scrive Scandellari. Ecco, questo aspetto è fondamentale. Naturalmente non può valere sempre o per tutti i progetti fotografici, ma di sicuro se vuoi che il tuo lavoro sia apprezzato da molte persone (e non è affatto detto che tu lo voglia) devi offrire loro certo una visione fresca e innovativa, ma che non le faccia sentire impreparate. Tanti lavori fotografici di oggi vanno in direzione opposta, e io per primo guardandoli mi sono sentito incapace di comprendere. Ammetto di averli subito odiati!

Il lettore non è stupido - "Tra chi crea contenuti c’è il mito del lettore sprovveduto che crede a qualsiasi cosa raccontata bene e con un buon titolo acchiappa clic". Ora questo vale soprattutto per i post e in generale per il materiale scritto, ma quante volte ti sono capitati davanti progetti fotografici in cui lo sforzo maggiore è stato quello di trovare un bel titolo e magari un intrigante "Artist Statement" mentre le foto - per usare un termine tecnico - "facevano cagare"? Il lettore non è stupido, nemmeno chi guarda le foto però!

Se non è attendibile non funziona - "È fondamentale l’autorevolezza di chi pubblica, in alternativa il contenuto deve essere supportato dai dati che vengono enunciati". Come non concordare? Questo in fotografia riguarda in particolare chi sceglie di dedicarsi al reportage. Insomma, se non sei Paolo Pellegrin è difficile che sulla base delle tue foto tu possa essere "creduto". Se denunci una situazione o esplori una realtà (dalle manifestazioni no-vax alla distruzione del tuo quartiere a opera di speculatori) la forza delle tue foto (sperando siano ben fatte) non basta, devi anche dimostrare di essere una persona seria, che non bara, un fotografo con un minimo di background, o almeno portare delle prove a supporto di quello che hai sapientemente illustrato con la fotocamera. Ti ricordi le foto degli "assembramenti" a Milano e a Roma fatte con il teleobiettivo per "comprimere" la folla? Ecco, Pellegrin una cosa del genere mica l'avrebbe fatta...

I grandi contenuti non ti dicono cosa pensare - "La narrazione più potente ti induce a ragionare e, nel caso, ad arrivare da solo alle conclusioni. Se chiudi con il tuo pensiero o l’enunciazione dello scopo che ti ha portato a raccontare la storia molta parte della credibilità crolla". Questo fa il paio con il consiglio precedente. Hemingway definiva questo fenomeno "effetto Iceberg" per cui il romanzo deve offrire al lettore solo 1/8 della storia, il resto (quel che è sottinteso e non detto) ne rappresenta la gran parte, sommersa, che dev'essere percepita ma non detta. In tal modo il lettore ci mette del proprio e si sente partecipe. Quello che non si vede è più importante di quel che si vede, e lo diceva pure Luigi Ghirri, per non parlare di Minor White con la sua teoria delle foto come "specchi", in cui lo spettatore possa riflettersi. Insomma, devi offrire la possibilità a chi guarderà il tuo progetto di sentirsi coinvolto, non un passivo "recettore" di emozioni o idee. Non è facile ed è anche il motivo per cui i grandi fotografi sono rari.
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I contenuti non sono rivolti a tutti - "Le persone sposano una visione del mondo e uno stile. Devi assumere una posizione coerente e stabile per ottenere un pubblico simile a te che ti supporti". Ci sono stati fotografi che disperatamente hanno cercato di piacere a tutti, con risultati disastrosi. La verità è che ci sarà sempre chi ti apprezza e chi non lo farà nonostante i tuoi sforzi. La coerenza ha un costo, e io lo so. Però è un valore fondamentale. Ci sono così tante persone nel mondo che hai comunque la possibilità di crearti un tuo pubblico, che ti apprezza e trova il tuo lavoro degno di considerazione. Ricorda che i fotografi di successo sono anche vincolati a riproporre sempre il proprio modo di lavorare, pena l'uscire dal circuito "giusto". Finché sono protetti da una rete di critici e sostenitori (leggi collezionisti e finanziatori) ben dotati economicamente, nessuno li criticherà. Odieranno i loro lavori, magari, ma in pubblico li loderanno sempre! Conosco tanta gente che odia Duchamp, ma di rado ho letto critiche sul suo modo di trasformare un orinatoio in una scultura. Insomma, il fatto che alcuni artisti o fotografi sembrano "piacere a tutti" è solo una distorsione prospettica. 

Il tono di voce - "Il contenuto di successo è confezionato ad arte, ogni parola è soppesata, ogni elemento appare nel giusto tempo. Lo stile è esso stesso contenuto. Va calibrato in base alle persone che vuoi raggiungere e al luogo in cui lo pubblichi". Ora, questo è un consiglio valido soprattutto per i comunicatori che utilizzano le parole. Ma lo sai che anche le fotografie possono "urlare" o invece parlare sottovoce? Oggi vanno le fotografie urlate: colori saturi, nitidezza massima, scena violente, sangue, qualcosa anche di sgradevole, che colpisca allo stomaco. Specie i reporter si difendono dicendo che la è la gente che vuole conoscere la realtà nella sua crudezza. Davvero? Eppure Robert Capa o Margareth Bourke-White non lo facevano mai, raccontavano quel che vedevano mettendo avanti la propria umanità, non il proprio conto in banca. Dunque scegli il tuo tono di voce fotografica, e che sia la tua voce, non quella che credi il pubblico voglia. Di sicuro così non sbaglierai.

Bene, è tutto. Ringrazio Skande per avermi ispirato questo post (il che dimostra ancora una volta che sa fare bene il suo mestiere!) e te per la pazienza. Soprattutto spero che questi consigli ti siano utili.
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La fotografia di viaggio e di street - Qualche consiglio utile

31/7/2021

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Ora che è estate e la pandemia un po' ha allentato la sua morsa, stai per partire per il viaggio della tua vita, o anche solo per un fine settimana intrigante e vuoi finalmente tornare a casa con delle foto fatte veramente bene? 

Hai deciso che è il momento di produrre - era ora - il tuo capolavoro fotografico e vincere il primo premio al concorso del dopolavoro ferroviario? Ok. Ho la formula giusta per te: studiare quel che hanno fatto i grandi fotografi di viaggio, e come lo hanno fatto. E visto che non abbiamo tempo da perdere, puntiamo direttamente sul più bravo (o ritenuto tale) e famoso.

Henri Cartier-Bresson (HCB per gli amici), uno dei più grandi fotografi di reportage della storia, tra i fondatori della mitica agenzia Magnum, utilizzava una tecnica infallibile: il mimetismo. 

Ogni persona (ma anche gli animali) reagiscono in modo scomposto di fronte a una fotocamera e a volte se la prendono con quello che sta dietro l’obiettivo con occhiatacce e improperi o - capita soprattutto in certi paesi - con il lancio di oggetti: a me è capitato mi lanciassero dei sassi mentre cercavo di fotografare delle donne sull'uscio di casa nell'Atlante, in Marocco. Non avevano intenzione di farmi male, ma il messaggio è stato chiaro! A dire il vero, grazie alla guida che mi accompagnava, poi la situazione è ridiventata tranquilla e ho potuto fare le mie foto, il che dimostra che a volte le persone agiscono più per paura o per la sorpresa di vedersi puntare una fotocamera, che per vera aggressività. Sorridi, fai capire che non sei "quel tipo di fotografo" e spesso le cose vanno  subito per il verso giusto.
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Fatto sta che però HCB, sia in territori tranquilli come l’Europa, sia in situazioni assai meno tranquille, si collocava in un angolo e, senza fotografare, attendeva. A forza di vedere quello strano tizio allampanato, con la fotocamera al collo, tutti i santi giorni, dopo un po’ la gente tendeva a dimenticarsi di lui, a considerarlo parte del paesaggio quotidiano. A quel punto Cartier-Bresson iniziava a fotografare, certo che lo avrebbero accettato, anzi che nemmeno lo avrebbero visto. La tecnica funzionava egregiamente, anche se aveva la controindicazione di richiedere un sacco di tempo, e mi è stata raccontata dal figlio di un fotografo di Scanno, in Abruzzo, il cui padre, appunto, potè vedere all'opera HCB durante un reportage sul paesino appenninico.

Qui purtroppo per te scattano le prime controindicazioni del metodo “HCB”: durante un normale tour turistico, infatti, la gran parte della gente questo tempo non ce l’avrà, stretta tra i solleciti della guida che sguaina a mo’ di Excalibur una quelle assurde antennine retraibili e i compagni di viaggio che hanno fretta di tornare in hotel per assalire le pietanze che rischiano di freddarsi nel buffet. Per questo chi invece viaggia in modo autonomo, anche se avrà comunque dei tempi non molto lunghi, potrà ottenere decisamente dei risultati migliori.  

In linea generale, poniti l'obiettivo di evitare le immagini banali (un cielo all’alba o al tramonto sono un utile sfondo, non un soggetto di per sé, tranne rari casi), sforzati di provare emozioni, di avere idee, e poi di trasferirle sul sensore (o sulla pellicola, se sei un inguaribile tradizionalista). Non è facile, occorrono pratica e un occhio allenato. Ricordati sempre che, come diceva Ansel Adams, “non c’è niente di peggio di una foto nitida di un’idea confusa”. Soprattutto pensa non alla singola foto, ma a un racconto articolato su una serie di fotografie tra loro connesse.

Schematizzando, potremmo considerare i punti successivi come utili per ottenere risultati almeno migliori del solito nella fotografia di viaggio e anche in quella di "Street", che poi sono due generi molto connessi.
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  • Se stai andando in una qualsiasi località, cerca di raccogliere tutte le informazioni in merito, ancor prima di partire. Cosa caratterizza quel luogo? E come lo hanno raccontato gli altri fotografi? Magari è un luogo noto e dunque fotografato spesso: quale aspetto gli altri hanno sottolineato? Solo la eventuale spettacolarità, o anche qualche caratteristica che magari sarebbe sfuggita ai più? Una processione in Sicilia ripresa da Scianna o dal fotoamatore di turno non porta esattamente allo stesso risultato: perché? Prova a pensarci su.
  • La stessa tecnica vale anche in caso di fotografie di Street: se anche le fai a due passi da casa, dovrai fare dei sopralluoghi e cercare di comprendere le reali potenzialità di quel luogo, di quel contesto. Ovviamente lo puoi fare anche solo prima di iniziare a scattare. Non arrivare lì con la fotocamera in mano, invece guardati attorno. Cosa vedi? Cartelloni pubblicitari interessanti? Un incrocio di linee o di forme geometriche? Un bel gruppo di persone variopinte? Tutti i fotografi di Street che conosco mi hanno  raccontato di fare esattamente così (e come detto faceva così anche HCB), non scattano a vanvera: prima vedono, poi scattano. In tal modo si colgono gli eventi, gli incastri giusti, i piccoli dettagli che valorizzano una foto, come fatto in tante occasioni da Stefano Mirabella o dal mio amico Giulio Ielardi che sta creando eccellenti progetti su Roma immergendosi letteralmente nelle strade della sua città.
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Copyright Giulio Ielardi
  • Gli animali, e gli insetti in particolare, utilizzano due tipi principali di mimetismo: fanno in modo da somigliare a una specie pericolosa (ad esempio velenosa) in modo da non venir attaccati per paura, oppure si nascondono assumendo le forme dello sfondo, diventano trasparenti. Il primo metodo (se non sei un culturista con la faccia cattiva) è poco applicabile, il secondo è quello di cui abbiamo in buona parte parlato sin qui. Ma attento: ci si può nascondere in molti modi. Walker Evans negli anni '30 realizzò una serie di fotografie "candid" nella metropolitana di New York impiegando una fotocamera nascosta. Oggi possiamo farlo ad esempio ricorrendo a uno smartphone: mentre sembra che stiamo chattando con l'amante, in verità scattiamo fotografie (ma inserisci la modalità silenziosa, altrimenti ti sgamano). Non a caso Michael Christopher Brown ha utilizzato questa tecnica per la sua serie sulla Metropolitana di Pechino. Così è diventato anche il primo fotografo della prestigiosa agenzia Magnum a utilizzare uno smartphone per dei progetti seri. Insomma, se fai finta di fare altro, e invece fotografi, le persone non presteranno caso a te.
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Copyright Walker Evans
  • Ricorda che anche se resti a lungo in un posto, le persone non ti noteranno più, come detto per la tecnica "alla HCB". Tuttavia a volte basta davvero poco: anche solo rimanere in un punto per almeno mezz'ora, in città, aiuta a diventare trasparenti. Siediti al tavolino di un bar all'aperto, sorseggia una bibita, poi inizia a fotografare, vedrai che funziona. Devi sembrare innocuo, per così dire, per questo è meglio comunque avere fotocamere piccole, non impegnative.
  • Ci si può nascondere anche con una certa aggressività. Insomma, diventando del tutto "evidenti" nella propria azione, mostrandosi all'opera con una certa invadenza. Questo non è un metodo per tutti, ma a volte funziona, come ha dimostrato ampiamente Bruce Gilden, la cui tecnica consiste, letteralmente, nello sparare in faccia alla gente un flash, con la fotocamera davanti al naso. Se guardi questo video, ti rendi conto che la maggior parte delle persone resta semmai perplessa, ma dinanzi allo sguardo sorridente del fotografo lascia correre. Era qualche anno fa, magari, oggi la gente è più irritabile, ma insomma con un po' di attenzione la cosa è replicabile.

Le "tecniche" che ti ho illustrato sopra sono quelle che buona parte dei grandi fotografi utilizza nel proprio lavoro, magari miscelandole con quella che resta la "madre di tutte le tecniche" del fotogiornalismo, della street e della foto di viaggio: andare incontro al soggetto, stringergli la mano, conoscerlo, parlarci a lungo, addirittura stringere una sorta di amicizia. E' in questo modo che Francesco Zizola ha raccontato le periferie di Roma o Paolo Pellegrin la cultura dei Rom.

Insomma uno sconosciuto potrebbe pure darti un pugno se gli fai una foto, un amico invece ti aiuterà a ottenere un grande risultato. Anche se è un amico appena conosciuto. Ricorda sempre la frase di William Butler Yeats: "non ci sono estranei, solo amici che ancora non hai conosciuto"...
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L'infedeltà cromatica

13/6/2021

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Una delle cose belle di lavorare in Bianco e Nero - come faccio oramai nella maggior parte dei casi - è di non dover star troppo lì a pensare alla fedeltà cromatica delle proprie immagini. Una faccenda che toglie il sonno a numerosi professionisti, che debbono garantire al cliente una resa cromatica fedele e stabile nei vari passaggi che un file subisce (fotocamera, computer del fotografo, computer della tipografia, con molti passaggi nel mezzo). 

C'è da dire che poi ci sono altri professionisti che grazie alle proprie competenze hanno costruito carriere "gloriose" e business importanti, basti citare Marianna Santoni, definita "divinità di Photoshop" e della gestione digitale del colore. Ma insomma, questa cosa della fedeltà cromatica è davvero una faccenda importante, e lo è in effetti da prima del digitale: semplicemente, un tempo, non si poteva ottenere una fedeltà davvero assoluta - se non a costo di lavorazioni estremamente complesse - e dunque ci si faceva meno caso. Ma oggi, che invece si può, la si pretende.
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Per ottenerla, appunto, i più ricorrono a dei colorimetri appositi, detti anche Spyder da quando la Datacolor (azienda leader nel settore) ha così chiamato i propri prodotti. In pratica li si fissa al monitor, si lancia l'apposito programma e il sistema crea un "profilo" colore da caricare e utilizzare sempre in modo da avere tonalità neutre e luminosità e contrasto corretti. Il profilo si può esportare e inviare insieme alle foto in modo tale che chi le guarderà su un altro monitor le vedrà più o meno uguali.

Ora, detto così sembra facile, in pratica si tratta solo di spendere dei soldi per acquistare lo "spyder" (ce ne sono modelli che vanno da circa 80,00 € in su)... e invece no, perché poi ci sono molte "macchine" coinvolte nell'intera procedura, così esistono profili per la stampante e addirittura profili per i diversi tipi di carta. Per non parlare dei profili dello scanner. Tuttavia, se non si è maniaci della tecnologia e "nerd" della precisione cromatica, diciamo che grossomodo potremmo anche esserci.

Io, a dire il vero, alla questione ho sempre dedicato poco tempo: ogni tanto (ma tanto, mannaggia) tiro fuori il mio "ColorVision" (sempre Datacolor) ed effettuo la calibrazione, poi me ne dimentico. Sempre fatto così e mai avuto problemi. Poi oggi ci sono monitor che arrivano già calibrati, ti installano automaticamente il profilo e alcuni hanno anche un sistema di autocalibrazione, sebbene siano ovviamente modelli abbastanza costosi, come gli Eizo ColorVision.
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Francamente il mio Benq (un modello fatto apposta per grafici e fotografi) - che pure costa (molto) meno dell'Eizo - se la cava comunque alla grande. Ma insomma, non è che in questo post voglia discettare di come effettuare la calibrazione o suggerirvi trucchi e trucchetti: online trovate molti consigli (soprattutto per farvi spendere un sacco di soldi) dati da gente ben più esperta di me in questo campo: io computer e monitor li uso e basta, ma restano grandi misteri insondabili.

Inoltre, lavorando principalmente in Bianco e Nero posso anche essere meno accorto alla precisione cromatica (ma non a luminosità e contrasto, s'intende)

Quel che mi piaceva sottolineare è invece un aspetto su cui ho trovato davvero poco online - per non dire niente - il che mi pare strano in quanto il fenomeno è evidente e anche altri amici e colleghi me ne hanno parlato. E cioé il fatto che la stessa foto, se "vista" all'interno di software diversi, appaia appunto diversa. Magari con colori leggermente diversi, o anche con contrasto diverso. E parliamo di foto che sono all'interno dello stesso computer e osservate sullo stesso monitor.
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Guarda lo screenshot qui sopra: si tratta della stessa foto aperta nel normale "viewer" di Microsoft (a sinistra) o in NX studio di Nikon (a destra). Puoi notare chiaramente che la foto a sinistra è meno contrastata e con neri più slavati di quella di destra!

Ora: dobbiamo pensare che ogni software abbia anche un proprio profilo colore? No, credo che sia principalmente una questione di impostazioni, solo che non tutti i software - specialmente quelli generici - permettono di modificarle.

Innanzitutto occorre prestare attenzione anche al CMS, Sistema Gestione Colore presente in diversi software (ma il visualizzatore di Microsoft ad esempio non lo fa modificare) e fare in modo che sia coerente con quello del "sistema fotografico".

In fotografia in genere usiamo lo spazio colore Adobe RGB (1998), mentre diversi software utilizzano sRGB, e questo può già cambiare qualcosa. Per il resto, francamente, non so darmi una spiegazione completa del fenomeno, che comunque mi fa abbastanza impazzire, perché la foto cambia a seconda di come la apro, riempiendomi di dubbi.

Per la cronaca, quando stampo le foto - anche nei libri - mi fido di più di Lightroom, che non mi ha mai tradito, ma credo che ognuno - col vecchio, classico sistema, che adoro, dei tentativi ed errori - troverà il proprio sistema per ottenere una fedeltà sufficiente. Sempre ricordando che se la foto è buona, cosa importa se il nero non è assoluto o il cielo è leggermente magenta?
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Sviluppare un file RAW

9/4/2021

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Quel che si dice normalmente, e cioè che il file RAW ("grezzo" in inglese) sia un po' una sorta di "negativo digitale", è vero soltanto a metà. In effetti, il grumo di pixel che fuoriesce dalla fotocamera, preso così com'è, è inutilizzabile. Se non lo si elabora in qualche modo, non possiamo condividerlo o farci altro, esattamente come un negativo dei bei tempi se non lo stampavamo in camera oscura (o non lo scansoniamo come si fa il più delle volte oggi) serviva davvero a poco.
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Non è un caso che Adobe, quando ha creato quello che sarebbe dovuto essere il formato digitale universale, che avrebbe dovuto sostituire i vari NEF, CR2 & Co., diversi da marca a marca di fotocamera, decise di chiamarlo Digital Negative (.dng).
 
Ma in realtà le similitudini finiscono qui. Innanzitutto il negativo digitale non è affatto un negativo, ma un positivo: aprendolo in un qualsiasi software apparirà semmai più simile a una diapositiva che - appunto - a un negativo.

Poi le sue caratteristiche possono essere modificate in un modo che nemmeno il mago più esperto degli sviluppi chimici avrebbe saputo fare con un negativo e nemmeno con la relativa stampa analogica. Di fatto, il file RAW contiene solo informazioni, non ha nessuna concretezza fisica (e in questo il negativo analogico vince alla grande) e dunque occorre passare per un software, per dargliela in qualche modo. E la faccenda è meno intuitiva e semplice di quanto si pensi, sebbene esistano oramai parecchi "automatismi" informatici che consentono di ottenere una foto ragionevolmente buona con un paio di "click". 
 
Ma è evidente che per avere il meglio, giocoforza è necessario impegnarsi un po', e perdere del tempo per imparare a gestire curve, timbro clone, saturazione e quant'altro.
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Ora, lo scopo di questo post non è - nemmeno potrebbe essere - quello di spiegare passo passo come si sviluppa un file RAW, cosa tra l'altro quasi impossibile perché ogni foto richiede un trattamento personalizzato. Ed è su questo che magari mi piacerebbe porre l'accento in questa occasione. Durante i miei corsi e i miei workshop noto subito che i fotografi, specialmente se inesperti, si gettano a capofitto all'interno di Lightroom, Photoshop, Infinity, DarkTable o altri programmi allo scopo di risolvere la faccenda seguendo le indicazioni apprese in qualche tutorial online.
 
Ora, credo che questo approccio sia altrettanto sbagliato di quello - molto simile - che si fa in ripresa. Come dinanzi a un soggetto che ci interessa e ci ispira occorre ragionare sul da farsi, valutare cosa si vuole davvero comunicare e come farlo, così quando avremo sullo schermo il nostro file RAW - che appare in genere smorto e poco attraente - dovremo prima di tutto ricordare quelle che erano le nostre intenzioni al momento dello scatto.
 
Faccio un esempio molto semplice. Io lavoro principalmente in Bianco e Nero e il più delle volte imposto la fotocamera in modo che non mi mostri i colori sul display, anche se il file sarà comunque a colori. Quando compongo la scena e faccio le mie scelte, so già che la foto sarà non solo monocromatica, ma anche contrastata o morbida, chiara o molto scura, e così via. Una volta aperto il file nel software prescelto cerco di sviluppare la foto perché aderisca alle decisioni prese sul campo. Ecco, questo penso andrebbe fatto ogni volta.
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Ovviamente si può anche cambiare idea e magari una volta a casa si fanno scelte diverse: l'importante è decidere prima cosa si vuole ottenere e poi iniziare a interagire con il software. Nulla vieta di avere dei presets di nostro gradimento, o di crearne ad hoc con parametri impostati da noi. Io vi ricorro spesso perché è ovvio che ho un modo di fotografare che può ripetersi e molte delle mie foto hanno un trattamento simile o con poche varianti. Ma so anche che altrettanto spesso per ottenere quel che voglio dovrò perdere del tempo, e lavorarci su. E ci sono anche volte in cui le elaborazioni possono diventare molto complesse e laboriose. 
 
Ad esempio, io non utilizzo più l'HDR quando necessario, preferendo comporre due foto (una per le alteluci e una per le ombre) a mano, con le maschere di livello, per un risultato più naturale. Tipicamente questo è il caso di quando si ha un cielo luminoso e un primo piano più scuro. In casi del genere la postproduzione può arrivare a richiedere molto tempo, ma onor del vero non mi capitano spesso.
 
Gli interventi che si faranno sul file sono anche "figli" delle nostre capacità: sono arciconvinto del fatto che solo smanettando continuamente si possa davvero imparare a gestire softwares a volte molto complessi. Anche frequentando corsi o leggendo manuali, alla fine se non si fa continuamente pratica non si acquisisce la necessaria competenza per lavorare in tranquillità.

E' dal 2002 che lavoro in digitale (oltre che in analogico) e posso ben dire che in questi 18 anni ho postprodotto quasi quotidianamente le mie fotografie. Ma ancora tutte le procedure che non uso regolarmente tendo a dimenticarle, come credo sia normale. Dunque il consiglio che mi sento di darti è di spendere ogni giorno anche solo 10 minuti a esercitarti con il software che hai scelto.
 
Vedrai che col tempo tutto si semplifica e le cose verranno naturali. Detto tutto questo, credo che alla fine l'80% del lavoro di sviluppo si concentri in pochi comandi (comuni a ogni software che si rispetti) che dovrai dominare senza incertezze:

  • Bilanciamento del Bianco - In genere consiste in un comando a forma di contagocce: basta cliccare su una superficie neutra (bianca, nera o meglio grigia) per ottenere una calibrazione del bianco efficace, che poi può essere personalizzata con i comandi manuali, spesso RGB, a volte più complessi. In alcuni software il comando è compreso nelle "curve", insieme al contagocce per stabilire il punto del nero e quello del bianco;
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  • Recupero alteluci e ombre - I comandi hanno magari nomi diversi, ma alla fine servono sostanzialmente a evitare che le aree luminose siano "sfondate" e le ombre "chiuse" e quasi nere. Per lavorare bene con questi comandi è preferibile attivare il "blinking" di luci e ombre in genere presente ai due lati in alto dell'istogramma: sulla foto vengono mostrate, colorate in blu e rosso, le aree problematiche su cui intervenire;
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  • Curve - Sostengo sempre, e credo di aver ragione, che se si dovessero buttar via tutti i comandi di un software e tenerne uno solo, io salverei le curve, con cui puoi fare davvero tutto: aumentare o diminuire il contrasto, modificare luci e ombre, calibrare le tonalità (operando sui canali RGB), ottenere effetti particolari. Davvero con le curve, come abbiamo visto nel post dedicato all'istogramma, puoi avere il controllo totale della tua fotografia. Credo sia meglio approfittarne!
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Detto tra noi, una volta che la neutralità cromatica è stata aggiustata, le ombre e le luci sistemate e il contrasto calibrato a volontà, il grosso del lavoro è fatto.
Poi, certo, può essere necessario rimuovere i punti creati dalla polvere sul sensore, fare qualche intervento più deciso, ma insomma, capita solo in una piccola percentuale di fotografie. Quello che tendenzialmente bisognerebbe sempre evitare è utilizzare i software per "correggere" gli errori in ripresa. Può capitare, ma se capita spesso il problema va affrontato a monte, non a valle...
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Arricchirsi con la fotografia: 5 consigli che funzionano (quasi) di sicuro

1/3/2021

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Gente strana, i fotografi. Voglio dire: se uno è appassionato di corsa campestre, o gioca con i trenini, o si dedica alla lettura, ai videogiochi o alle mille altre possibilità che esistono di avere un hobby, non è che sta sempre lì a pensare come guadagnarci qualcosa. Va bene, esistono professionisti in ogni settore  e un collezionista di francobolli potrebbe anche scoprire un "Gronchi rosa" e guadagnarci su bei soldini, ma non è certo ossessionato dall'idea di dover guadagnare qualcosa da un passatempo, non lo fa per quello. Invece, i fotografi son sempre lì a chiedersi: come posso guadagnare grazie alle mie foto?
Presumo sia colpa da un lato di un retaggio del passato, quando i "professionisti" erano il modello di riferimento, dall'altro del costo delle attrezzature, che spinge a cercare un certo "ammortamento" economico. Sia come sia, non esiste sito, rivista o libro che non abbia dei suggerimenti su come "guadagnare grazie alle tue foto": e giù consigli originali e innovativi (no: son sempre gli stessi).
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Allora, per completezza dell'informazione - sia mai che questo mio blog venga considerato poco attento alle esigenze dei lettori - ecco i miei cinque consigli per arricchirsi grazie alle tue foto. Dico arricchirsi perché son capaci tutti a suggerire tecniche per guadagnare qualche spicciolo, ma nessuno ti dice davvero come puoi diventare ricco sfondato grazie a una fotografia (Una? Si, ne basta una, se è quella giusta. Fidati).
 
Ecco i miei consigli. Poi ci rivediamo alle Bahamas (anche se non credo ci andrò mai: odio il caldo).
 
Consiglio 1 - Non sono le fotografie a guadagnare, sono i fotografi. Dirai: grazie al... Però è così: non importa che foto hai fatto, se l'hai fatta tu e avrai fatto in modo che abbia un buon GVA (Grande Valore Apparente). Il mondo dell'arte in generale è pieno di pittori, scultori e fotografi che hanno lavorato per crearsi una fama, e tutti a dire: ah, però che grande artista! Nessuno, però, che conosca le loro opere, ancor meno le capirebbe, comunque. Non è un mondo per sfigati: se vuoi davvero arricchirti con la fotografia applica alla lettera lo logica che, se vuoi essere qualcuno, devi apparire  famoso, importante e di successo. Lascia stare i concorsi per poveri fotoamatori del cazzo, punta dritto verso gallerie importanti, mostrati sicuro delle tue capacità, fai appostamenti in via Giulia a Roma per beccare Bonito Oliva mostrandogli le tue foto ancor prima che abbia modo di reagire, o fai incazzare Sgarbi dandogli della "capra!" (questa tecnica è più facile) e quando ti prenderà a schiaffi diventerai ipso facto famoso. Sarai il fotografo preso a schiaffi da Sgarbi e il gioco è fatto. A chi vuoi che importi che foto fai? Fotografa cacche di piccioni sui muri con lo smartphone e fatti scrivere una nota critica da qualche criticone importante (costo medio sui 3000 €, ma sono un buon investimento) e avrai tutto quel che ti serve. Gli emiri della penisola arabica hanno già in caldo l'assegno da due milioni di dollari per te. E se pensi che racconto solo cazzate (che è vero, ma non dirlo in giro), sappi che la foto più costosa della storia non è di Weston o Adams, di Gursky o Angelica Hofer: è di un tal Peter Lik (e chi è? dirai, l'ho detto anch'io), e si intitola (che fantasia!) "Phantom". La foto di per se è gradevole, ma vista e stravista, di una disarmante banalità, ed è stata pagata ben 6,5 milioni di dollari. C'è chi dice sia solo un'operazione di marketing. Vedi che ho ragione?
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Consiglio 2 - Va bene, vuoi tenerti basso, non hai voglia di Martini on the rocks a bordo di un motoscafo battente bandiera panamense, non vuoi dover presenziare a ogni fottuto vernissage di tue mostre al MoMA, vuoi invece continuare la tua vita avendo però bei soldoni in banca, guadagnati senza fare una cippa, cioè fotografando. Va bene. Allora prova con le paparazzate. Lo so che da quando Corona è decaduto questo settore attira molto meno, ma se pensi a quanto vengono pagate le foto (poco nitide, brutte, scattate al volo e senza un minimo di grazia) pubblicate su certe riviste, beh... ci farei un pensierino. Quando qualcuno ti farà osservare che "paparazzare" la diva o il divo della TV, del cinema o della canzone non è certo una forma d'arte, contrapponi due dati incontrovertibili: primo, che il termine "paparazzo" deriva dal personaggio interpretato da Enzo Cerusico in " La Dolce Vita" di Fellini (e scusa se  poco); secondo, che una foto di due personaggi famosi che trombano può arrivare a valere 50.000 eurini, che qualsiasi fotografo "fine art" con la puzza sotto al naso non vedrà che in cartolina, se non appartiene al "gotha" dei 10-15 fotografi strafamosi (e anche in quel caso, è dura). Prendi la reflex, buttaci su due duplicatori di focale, un tele da 500 mm (anche catadiottrico, che ti frega) e appostati all'Argentario, in Costa Smeralda, ma anche a Roma o Milano, e ci sei quasi. Poi certo ci vuole un po' di culo: il tuo, certo, ma anche quello della Belen.
 
Consiglio 3 - Sei uno di quelli tosti: non accetti compromessi, sei un artista tu, mica un marchettaro di m... Non mi spaventi, sai? Ho un consiglio anche per te. Non originale, anzi riciclato. Riciclatissimo. Però se uno ci pensa su un attimo, e decide davvero di mettersi d'impegno, son certo potrebbe funzionare, come sempre. Le agenzie di Stock. No anzi, di Microstock. La grande illusione di ogni fotoamatore, non c'è libro o manuale che non consigli al fotografo di mettere le proprie foto su questi siti che, essendo Royalty Free, non chiedono nemmeno l'esclusiva. La stessa foto la puoi mettere su 10 siti diversi. Wow! Chissà quanti soldini guadagnerò! Pochi, pochissimi, se non sei davvero furbo. Il download delle foto viene pagato pochi centesimi, e prima di arrivare almeno a 100 euro di guadagno, devi aspettare mesi se non anni. Se non sei Matusalemme, non diventerai mai ricco. Eppure. Eppure. C'è chi guadagna bene anche in questo settore. Certo, sono fotografi che hanno iniziato questa carriera ai tempi in cui era più facile crearsi un seguito, oggi è più difficile, ma non impossibile. La logica di fondo è che è vero che guadagni pochi centesimi a foto, ma se butti dentro la Rete decine di migliaia di fotografie, ecco che il guadagno diventa interessante. Ma non basta. Se fai in modo che le foto siano quelle giuste, e non le solite immagini fotoamatoriali di paesaggio, tramonti, animali domestici e così via, le tue possibilità aumentano molto. Devi puntare al settore "advertising" (la pubblicità, insomma), fare in modo che le tue foto vengano scelte per manifesti, brochure e quant'altro. Studiati il mercato, organizzati in modo da poter realizzare ogni giorno centinaia di scatti, creati una lista di modelli e modelle (no, gli amici e le amiche non vanno bene, servono professionisti) da utilizzare negli "shooting", allontanati dai cliché - per emergere - e poi scatta anche foto banali e trite, perché non si sa mai. Un impiegato lavora otto ore al giorno: tu non un minuto di meno. Almeno sei giorni su sette. Migliaia di foto alla settimana. Trovati un fidanzato/a disponibile a lavorare al computer per inserire tutte le foto sui siti di microstock con tutte le keywords acconce (esistono softwares che facilitano la cosa). Ti sembra complicato? E allora: se vuoi, ti resta sempre il Totocalcio, mica si diventa ricchi cincischiando con gli amici!
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Consiglio 4 - Ma tu in verità sei un fotoreporter, non un impiegato della fotografia. Accidenti, ma sai che sei uno complicato, cavolo? Cosa vorresti: essere pubblicato su riviste e giornali a diffusione planetaria? Vabbe', però non mi risulta che nessuno, pubblicando reportage sui giornali, sia mai diventato davvero ricco (se fosse così, ora non perderei tempo a scrivere 'ste cazzate, avendo pubblicato circa 200 reportage sulle riviste). A meno che non si parli di uno scoop, ma di uno scoop vero. Cosa rara: cose tipo il Watergate avvengono tutti i giorni (ci scommetto), ma scoprirli è un'altra faccenda. Comunque posso darti dei consigli utili anche in questo campo. Prima di tutto scordati il Sociale. Sarà che viviamo nell'epoca dei "suprematisti", dei nazionalisti, dei Salviniani e così via e a nessuno fotte più un'emerita del destino di milioni di persone coinvolte in guerre e carestie. Roba per cuori delicati, eppoi mica tutti sono Salgado. Perciò, cuore di pietra e volgi lo sguardo altrove. Esattamente sui presunti nemici del popolo: lo so che fa molto Pol Pot o Kim Jong-Un, ma intendo dire che se realizzi un reportage bello tosto su Soros, è facile che te lo paghino bene, specie "certi" giornali. Poi c'è tutto il settore dello spettacolo (non parlo di paparazzate, in questo caso): reportage che raccontino i personaggi più amati dal pubblico ricevono sempre un'ottima accoglienza nelle redazioni. E non credere sia così difficile avvicinarli: l'importante è fingere di essere uno bravo e famoso, anche se non lo sei. Quanti politici fanno finta di essere intelligenti e non lo sono? Quanti attori si atteggiano a veri artisti e ululano come cani? Dunque, niente remore! Cercati il contatto giusto e chiedi l'esclusiva: più il personaggio (attore, cantante, politico) è famoso per la sua riservatezza, più il tuo servizio fotografico avrà valore. Se non riesci a convincere il personaggio a concederti il permesso di fotografarlo anche nelle sue attività più private, tenta con il ricatto. Tutti hanno scheletri nell'armadio. Lo so, è illegale. Che ti importa? Siamo in Italia...

Consiglio 5 - Ultima possibilità. Diventa un consulente per fotografi che vogliono diventare ricchi. Si fa così: trova qualche consiglio utile, tipo quelli che ti ho dato sin qui (Hmmmm). Mettili per bene all'interno di una pagina internet (meglio un sito vero e proprio) molto colorato e studiato da qualcuno che ci capisce e con tante foto esplicative acquistate per pochi centesimi su un sito di Microstock (non perdere tempo a farle tu, che il tempo è denaro). Ogni venti righe di testo metti un pulsantone in cui scrivi che i pochi furbi che ci clickeranno sopra potranno conoscere i segreti degli esperti per guadagnare con la fotografia "più di un chirurgo" o di altro professionista stimato. Solo loro potranno accedere al paradiso dei fotografi ricchi e di successo. Offri gratis un'anteprima, ma poi metti in chiaro che per accedere ai metodi di "marketing creativo per fotografi" il fesso... ehm, il cliente dovrà pagare una quota. Tienti alto (spara: 2-3000 €) e poi applica degli sconti per i primi 10 che si iscriveranno (e allunga a dismisura la promozione come "Poltroneesofa", tanto chi si mette a contare gli iscritti?) e il gioco è fatto. Come dici? Quali consigli dovresti vendere? Ah, ma allora sei davvero poco furbo. Ruba, cavolo, ruba! Il consiglio viene da Timothy Ferris, autore di "4 ore alla settimana", libro di gran successo sia in America che nel mondo, e questo già la dice lunga sulla china che l'umanità ha imboccato (io, comunque, il libro me lo sono letto, hai visto mai). Ferris consiglia, per lavorare appunto solo 4 ore alla settimana e acquistare tra le altre cose una bella Lamborghini (ora semplifico), di creare dei prodotti che forniscano alle persone strumenti pratici, atteggiandosi ad esperto (è incredibile quanto sia facile farsi credere un esperto in qualsiasi materia ed essere certificato per questo!) e trovando le risorse rubacchiando qua e là e rielaborando il tutto come fossero cose chissà quanto originali. Ti sembra disonesto? Rassegnati: se la pensi così, resterai socio a vita nel club di noi poveri squattrinati!
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    Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). Per oltre 15 anni ho collaborato con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando oltre 200 reportage. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling.


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