In quanto fotografo paesaggista, sono ovviamente un attento osservatore delle dinamiche in corso nella fotografia naturalistica in generale, e di landscape in particolare. Leggo, mi informo, rifletto. E rimango sempre meno convinto delle strade che la fotografia sta percorrendo, e di cui hanno parlato molti commentatori, ultimo in ordine di tempo il bravo Stefano Unterthiner. Il cahier de doléances è ben noto: saturazione eccessiva, effettacci più o meno spettacolari, foto vivide ma prive di idee. Mi torna sempre in mente la frase (profetica) di Ansel Adams: "non c'è niente di peggio dell'immagine nitida di un'idea sfocata". Oggi più che mai l'attenzione viene posta sull'aspetto prettamente tecnico dell'immagine, ed è un proliferare di luci incredibili - indiscutibilmente belle - ma che per questo oramai divengono banali. Infatti, il vademecum del perfetto fotografo di paesaggio sembra essere questo:
Sono appena emerso dalla lettura di una rivista (esiste solo in versione elettronica) dedicata alla fotografia di paesaggio. Molto ben fatta, molto curata: non a caso la compro con una certa regolarità. Però, al termine della lettura, resto sempre un po' confuso. All'inizio non capivo, poi mi sono reso conto che tutte le foto (e dico tutte tutte) sono cromaticamente esagerate e realizzate con uno scopo ben preciso: attrarre quel wow factor che è diventato il vero premio di ogni fotografo (ma non vale su facebook: lì basta la foto sfocata del tuo gatto a farti degli ammiratori...). Chiunque frequenti la natura sa bene quale spettacolo siano le albe e i tramonti su questo pianeta, specialmente con le nuvole in cielo e qualche fenomeno interessante (temporali, nevicate, o altro). Ma io la natura così colorata non l'ho mai vista. Mai. Se non nella mia fantasia: e va bene che il fotografo dev'essere anche uno che sa immaginare, ma con moderazione! Soprattutto, con dolore, debbo annunciare che esiste la luce morta. Cos'è la luce morta? Tutta la luce (cioè la maggioranza di quella disponibile) che non sia l'alba e il tramonto. Interi racconti di esperienze fotografiche iniziano con il "risveglio all'alba in una tenda, per catturare quell'attimo magico" e terminano con lunghe attese per il tramonto "più infuocato che abbia mai visto". E nel mezzo il nulla.
Senza nuvolette rosa, gialle o indaco, senza raggi solari che splendono dietro nuvole color cobalto, senza la tavolozza incredibile che la natura sa stendere sulla sua tela, la fotografia non si può fare. Cieli grigi e luci piatte, soli estivi che allo zenit proiettano ombre più dure della pietra, e tutte le altre luci "banali" non servono a fotografare. Nemmeno una buona, onesta luce del giorno in inverno, che pure non è niente male, incuriosisce il fotografo. Finita l'alba, si fa colazione, ci si riappisola, si attende freneticamente la sera. Al più, si fa qualche macrofotografia, o si scelgono le location per gli scatti serali. Oramai "la luce è brutta". Ma la natura offre almeno 7-8 ore di luce (in certi periodi anche 12...), e mi chiedo se sia possibile raccontarla limitandosi a quelle due orette mattutine e serali. Ve l'immaginate un fotografo di reportage che chiede ai combattenti di una delle mille guerre in giro per il mondo di attendere la sera, in modo da avere la luce migliore, prima di continuare a spararsi? E se volete fare "street photography", dubito che l'alba sia un buon momento, e anche il tramonto raramente lo è. Così chi ci accusa, a noi naturalisti/paesaggisti, di essere distaccati dalla realtà e di non raccontarla davvero, ahimé, qualche volta ci azzecca.
4 Commenti
Una delle cose belle di lavorare in Bianco e Nero - come faccio oramai nella maggior parte dei casi - è di non dover star troppo lì a pensare alla fedeltà cromatica delle proprie immagini. Una faccenda che toglie il sonno a numerosi professionisti, che debbono garantire al cliente una resa cromatica fedele e stabile nei vari passaggi che un file subisce (fotocamera, computer del fotografo, computer della tipografia, con molti passaggi nel mezzo). C'è da dire che poi ci sono altri professionisti che grazie alle proprie competenze hanno costruito carriere "gloriose" e business importanti, basti citare Marianna Santoni, definita "divinità di Photoshop" e della gestione digitale del colore. Ma insomma, questa cosa della fedeltà cromatica è davvero una faccenda importante, e lo è in effetti da prima del digitale: semplicemente, un tempo, non si poteva ottenere una fedeltà davvero assoluta - se non a costo di lavorazioni estremamente complesse - e dunque ci si faceva meno caso. Ma oggi, che invece si può, la si pretende. Per ottenerla, appunto, i più ricorrono a dei colorimetri appositi, detti anche Spyder da quando la Datacolor (azienda leader nel settore) ha così chiamato i propri prodotti. In pratica li si fissa al monitor, si lancia l'apposito programma e il sistema crea un "profilo" colore da caricare e utilizzare sempre in modo da avere tonalità neutre e luminosità e contrasto corretti. Il profilo si può esportare e inviare insieme alle foto in modo tale che chi le guarderà su un altro monitor le vedrà più o meno uguali. Ora, detto così sembra facile, in pratica si tratta solo di spendere dei soldi per acquistare lo "spyder" (ce ne sono modelli che vanno da circa 80,00 € in su)... e invece no, perché poi ci sono molte "macchine" coinvolte nell'intera procedura, così esistono profili per la stampante e addirittura profili per i diversi tipi di carta. Per non parlare dei profili dello scanner. Tuttavia, se non si è maniaci della tecnologia e "nerd" della precisione cromatica, diciamo che grossomodo potremmo anche esserci. Io, a dire il vero, alla questione ho sempre dedicato poco tempo: ogni tanto (ma tanto, mannaggia) tiro fuori il mio "ColorVision" (sempre Datacolor) ed effettuo la calibrazione, poi me ne dimentico. Sempre fatto così e mai avuto problemi. Poi oggi ci sono monitor che arrivano già calibrati, ti installano automaticamente il profilo e alcuni hanno anche un sistema di autocalibrazione, sebbene siano ovviamente modelli abbastanza costosi, come gli Eizo ColorVision. Francamente il mio Benq (un modello fatto apposta per grafici e fotografi) - che pure costa (molto) meno dell'Eizo - se la cava comunque alla grande. Ma insomma, non è che in questo post voglia discettare di come effettuare la calibrazione o suggerirvi trucchi e trucchetti: online trovate molti consigli (soprattutto per farvi spendere un sacco di soldi) dati da gente ben più esperta di me in questo campo: io computer e monitor li uso e basta, ma restano grandi misteri insondabili. Inoltre, lavorando principalmente in Bianco e Nero posso anche essere meno accorto alla precisione cromatica (ma non a luminosità e contrasto, s'intende) Quel che mi piaceva sottolineare è invece un aspetto su cui ho trovato davvero poco online - per non dire niente - il che mi pare strano in quanto il fenomeno è evidente e anche altri amici e colleghi me ne hanno parlato. E cioé il fatto che la stessa foto, se "vista" all'interno di software diversi, appaia appunto diversa. Magari con colori leggermente diversi, o anche con contrasto diverso. E parliamo di foto che sono all'interno dello stesso computer e osservate sullo stesso monitor. Guarda lo screenshot qui sopra: si tratta della stessa foto aperta nel normale "viewer" di Microsoft (a sinistra) o in NX studio di Nikon (a destra). Puoi notare chiaramente che la foto a sinistra è meno contrastata e con neri più slavati di quella di destra!
Ora: dobbiamo pensare che ogni software abbia anche un proprio profilo colore? No, credo che sia principalmente una questione di impostazioni, solo che non tutti i software - specialmente quelli generici - permettono di modificarle. Innanzitutto occorre prestare attenzione anche al CMS, Sistema Gestione Colore presente in diversi software (ma il visualizzatore di Microsoft ad esempio non lo fa modificare) e fare in modo che sia coerente con quello del "sistema fotografico". In fotografia in genere usiamo lo spazio colore Adobe RGB (1998), mentre diversi software utilizzano sRGB, e questo può già cambiare qualcosa. Per il resto, francamente, non so darmi una spiegazione completa del fenomeno, che comunque mi fa abbastanza impazzire, perché la foto cambia a seconda di come la apro, riempiendomi di dubbi. Per la cronaca, quando stampo le foto - anche nei libri - mi fido di più di Lightroom, che non mi ha mai tradito, ma credo che ognuno - col vecchio, classico sistema, che adoro, dei tentativi ed errori - troverà il proprio sistema per ottenere una fedeltà sufficiente. Sempre ricordando che se la foto è buona, cosa importa se il nero non è assoluto o il cielo è leggermente magenta? |
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