Nello scrivere questo post sto violando perecchie delle regole assegnate "a questa parte di universo", almeno dell'universo fotografico. La prima, generale, è: "ma chi te lo fa fare?" a cui segue quella che dice con chiarezza di esaltare sempre i nostri "padri nobili" (specie se viventi), e Koudelka - diciamolo - più che un fotografo è un monumento. Dunque giocoforza i suoi lavori sono monumentali, poi anche straordinari, efficaci, stimolanti, sorprendenti. Niente di meno, per carità, e secondo me è proprio così. Quasi sempre. Poi c'è la regola che dice di evitare di ficcarsi in questioni che possano generare polemiche online a causa della violazione della regola appena citata, per non venir sommersi dai commenti di persone che ti scrivono stupite chiedendoti come sia possibile che la mostra di Koudelka non ti sia piaciuta "da uno a cento, almeno duecento". "Ma chi ti credi di essere per criticare Koudelka?" è un classico, a cui rispondo sempre che non ho bisogno di idoli e nessun fotografo mi piace sempre e comunque al 100%. Tuttavia mi sentirei ipocrita a non scrivere quel che penso su una mostra importante e nel complesso godibile (mi sto parando per quel che dirò a breve) come "Radici", ospitata presso il Museo dell'Ara Pacis a Roma. Ricordo di aver fatto alcune osservazioni sulla mostra "Genesis" di Salgado (che nel complesso però ho amato molto) e ancora qualcuno me lo rinfaccia. Dunque speriamo bene. La faccenda è questa: chi mi conosce sa che lavoro molto su temi assai affini a quelli della mostra. Fotografo insomma tanti luoghi archeologici e tanti paesaggi. Potrei, anche solo per questo, aver acquisito una certa prevenzione nei confronti di chi "pascola" nel mio stesso campo, fosse pure Koudelka. Ma ho approcciato (oddio che brutta parola) la mostra con il massimo delle buone intenzioni. Le foto viste online mi sembravano promettenti, ma ammetto che lo sono anche i trailer dei film che poi ti deludono. Sta di fatto che se guardi ad esempio la foto qui sopra, con quelle due figurine emergenti sulla sinistra, non puoi non pensare che sia una gran bella foto. E guarda anche questa qui sotto: non male, vero? Si vede un approccio particolare, "autoriale" che lascia sperare per il meglio. Insomma: è Koudelka! Pagato il biglietto - ero praticamente solo, ieri mattina - ho cominciato la mia avventura. Ora, noi fotografi abbiamo un viziaccio (tutti, anche quelli che non lo dicono): iniziamo a leggere le foto ficcando il naso a due centimetri dalla stampa. Diamine, una Leica Serie S prodotta appositamente per il fotografo con il sensore nel formato panoramico e per di più con un obiettivo Leitz! Ma c'è già qui qualcosa che non quadra: se si decide di stampare le foto in formato enorme (credo 100x300 o giù di lì) dovrebbero essere assai nitide, e molte non lo sono, specie ai bordi. Alcune sono palesemente micromosse, se non mosse e questo - guardando il video proiettato nella mostra - scommetto che è dovuto alla veneranda età dell'autore (nato nel 1938) che non usa il treppiedi ma si fida delle proprie mani tremolanti. Magari - come osservato da alcuni critici e commentatori osannanti - è solo una scelta iconografica, come gli orizzonti storti e le prospettive deformate che aumentano la dinamicità della scena altrimenti troppo statica. Insomma, diamine: è Koudelka! Ora, qui debbo ammettere che a me gli orizzonti storti e le linee cadenti in genere mi fanno star male e dunque non faccio testo, ma in alcuni casi trovo una simile scelta comunque opinabile. Tuttavia non è questo o la citata mancanza di nitidezza ad aver rovinato la mia esperienza con la mostra: in effetti stampe di queste dimensioni si guardano stando almeno a uno o due metri di distanza (ma anche di più, se vuoi vederle per intero in uno sguardo), e i difetti si notano poco. Inoltre è ovvio che solo una parte delle ben 150 stampe ne sia afflitta. Osservo poi che anche le foto più vecchie (dalla fine dei '90 - dunque analogiche - in poi) presentano problemi simili in alcuni casi, e dunque l'attitudine del fotografo a lavorare a mano libera per essere meno vincolato li giustifica. Riconosco anche di aver sempre sostenuto che - per dirla con Cartier Bresson - la nitidezza "è un concetto borghese", e va bene, ma è pur vero che mi riferivo a fotografie di street e reportage, dove cogliere l'attimo e fondamentale, ma nel classico "waiting game" - il gioco dell'attesa - della fotografia di paesaggio, dove dunque si ha tutto il tempo di lavorare con calma, non mi sembra ci sia motivo per non usare un treppiedi, quando necessario, specialmente con macchine pesanti e ingombranti come la Leica S. Ma - sia chiaro - questa è una mia idea, non una verità assoluta. Dicevo: non è questo ad aver rovinato la mia esperienza con la mostra. E' stata proprio la mancanza di un approccio davvero autoriale e personale a deludermi, perché di Koudelka è proprio questo che ammiro: il bianco e nero potente, le inquadrature sempre coinvolgenti, gli sguardi, i luoghi, le realtà rese in modo anche spregiudicato. Forse perché ho sempre avuto davanti agli occhi il Koudelka reporter, narratore di storie di zingari e migranti, o anche quello della "primavera di Praga". Non si tratta di avere per forza uno "stile" personale (quello anche Ghirri lo criticava), ma da certi autori un qualcosa di molto personale - magari sarà sbagliato - uno se l'aspetta, insomma a volte quasi lo "pretendo"! E qui (sarà un mio limite) non riesco a vederlo. Della mostra di Salgado - ad esempio - avevo apprezzato la capacità di rendere in modo egregio la vita degli Indios amazzonici e i contesti ambientali sparsi per il mondo, molto meno le foto più naturalistiche: non perché non ben fatte e curatissime, ma perché "professionali" però poco personali. Arrivo a dire "già viste", sebbene nei portfolio di altri grandi autori. Ecco, nel caso delle foto di "Radici" trovo che l'approccio non sia particolarmente originale, che l'autore non sia andato oltre l'utilizzo del formato panoramico (nemmeno adatto a tutti i soggetti, a mio parere) e della stampa in formato "mezzo campo da tennis" (anche qui magari parla la mia idiosincrasia per le stampe molto grandi!). Mi sembra manchi anche una forte idea unificante a parte quella di riprendere al meglio i vari luoghi. Se il punto era rendere il concetto di quanto questo nostro passato sia a rischio, non si percepisce molto, non si vedono mai siti "a rischio", anche se nella realtà lo sono, e anche se alcuni poi sono effettivamente andati quasi distrutti, come Palmira in Siria. Mi aspettavo scelte coraggiose e innovative o almeno uno sguardo fresco e senza preconcetti, e invece accanto a qualche foto storta, trovo "solo" foto ben fatte, né rigorose come quelle, che so, di Gabriele Basilico, dunque con le linee cadenti ben corrette, ma nemmeno innovative e fuori dagli schemi come quelle, per dire, di Ghirri, Guidi o Fossati. Alla fine, il risultato è di avere una serie di foto tra loro simili - molti dei luoghi fotografati, sebbene sparsi per il bacino del Mediterraneo, sono caratterizzati da ruderi di epoca romana - con tanti mozziconi di colonne, porticati e teatri con scalinate, che inducono una certa noia visiva. Non che manchino i guizzi dell'autore, specialmente quando si concentra sui dettagli, quando lavora con luci e ombre, quando esagera le composizioni e sfrutta le prospettive. Viene da dire che un po' di selezione avrebbe aiutato, ad esempio evitando le foto collocate su delle sorte di "panche rettangolari" a mio parere poco godibili, ma so che anche questo suona blasfemo, come il resto del mio post. In conclusione: consiglio la mostra o no? Si, certamente. Innanzitutto a chi è appassionato di archeologia, perché avere tante foto di così tanti siti è comunque intrigante e molto interessante, e di certo le foto sono tutte più che buone, ci mancherebbe. La consiglierei comunque anche ai fotografi perché c'è sempre molto da imparare dai grandi autori come Koudelka. Ma se sei come me, uno che si aspetta sempre di rimanere a bocca aperta dinanzi ai lavori di certi fotografi che in passato ti hanno già emozionato e meravigliato, allora avvicinati con prudenza a questa mostra: a mio parere (strettamente personale, lo sottolineo tre volte) non è il lavoro migliore del grande fotografo ceco, sebbene contenga parecchie chicche e foto notevoli.
E ora potete anche insultarmi per aver osato collocare la mia voce fuori dai cori osannanti che ho letto sin qui riguardo questa mostra! ;-)
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