MARCO SCATAGLINI
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On this site. Le storie dei luoghi

19/4/2021

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Sono convinto (sebbene siano in pochi a essere d'accordo con me, lo so) che i luoghi possano narrare storie più efficacemente dei volti e delle espressioni, proprio perché sanno essere eterni e grandiosi e al contempo drammatici e tristi, possono evocare sensazioni e idee, commuoverci e ferirci più di quanto sappia fare un volto. 

Perché il volto è e sarà sempre limitato nel tempo e nello spazio, mentre un paesaggio, per sua natura, è ampio, a volte illimitato, potenzialmente eterno come la nostra incapacità, a volte, dinanzi alle tragedie che avvengono a un passo da noi, di provare la necessaria empatia. E che il paesaggio sia quello della Campania, di Lampedusa, Nizza o Calais davvero poco importa.
 
ll lavoro realizzato da Joel Sternfeld tra il 1993 e il 1996 è di fatto un'esplorazione dell'America, con le sue contraddizioni, che ricorda almeno in parte quella di Walker Evans, che è un po' il "padre" della fotografia "narrativa" americana e mondiale. Ma a parte questo "On this site" è un progetto che ci permette di riflettere anche sul potere - e la necessità - della didascalia, o almeno del titolo. 
 
Il progetto di Sternfeld consiste in una serie di fotografie in cui sono rappresentati luoghi più o meno anonimi, anche se a volte famosi, teatro di "eventi significativi" della storia americana: non per forza eventi storici, anzi, quasi mai di tale portata. Si tratta invece di eventi tragici, fatti di cronaca, suicidi, luoghi legati a inquinamento (ad esempio nucleare) o a ingiustizie, e così via.
 
La cosa davvero interessante è che guardando le foto, in nessun caso potremmo intuire tutta la storia: senza didascalia,  il progetto sarebbe, per così dire, "muto" e profondamente incomprensibile. E questo a prescindere dal valore delle fotografie.
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Il testo che accompagna la foto sopra è il seguente: "Nel 1868 il Governo Federale cedette milioni di acri di terra delle Black Hills nel South Dakota alla Nazione Sioux. Anni dopo, quando l'oro venne scoperto nella zona, il Congresso ruppe l'accordo e si riprese quelle terre. Nel 1920, lo Stato del South Dakota, nel tentativo di attirare il turismo, commissionò a uno scultore [Gutzon Borglum] di modellare enormi busti sul monte Rushmore. I Sioux considerano ancora le Black Hills come la loro terra sacra. Nel 1980 la Suprema Corte decretò un risarcimento di 17 milioni di dollari più un interesse calcolato a partire dal 1877 come compensazione. Il premio è ora valutato in 300 milioni di dollari, ma i Sioux continuano ancora a rifiutare sia i soldi che la cessione della terra".
 
Una storia di sopraffazione, che ci racconta molto dell'atteggiamento "coloniale" tenuto dagli americani bianchi nei confronti dei popoli indigeni. La foto è particolarmente riuscita perché ci mostra un aspetto particolare di un luogo stra-fotografato. Ma questi due aspetti difficilmente avrebbero potuto incontrarsi senza la lunga e circostanziata didascalia sopra.
 
In effetti capita di frequente che, quando il fotografo decide di riprendere dei luoghi significativi, ci siano poche possibilità di trasmettere direttamente, col solo linguaggio delle immagini, il concetto di fondo. In effetti le fotografie hanno una capacità narrativa poco efficace, se prese da sole. E' invece incredibile quanto - una volta affiancate da accorte parole - possano sbocciare e dirci un'infinità di cose, emozionarci e renderci la comprensione di eventi anche complicati se non facile, di sicuro più agevole.
 
La domanda che resta è: si tratta di un tradimento della fotografia?
Foto
Sono sincero: non so rispondere. Ma a me sembra di no. Anche un dipinto o una scultura possiamo ammirarli per come sono, ma non li comprenderemo davvero senza saperne un po' di più, senza un titolo esplicativo, senza un "didascalia", e questo vale ancor più per l'arte contemporanea. Eppure nessuno accusa Picasso di aver dipinto qualcosa di inesplicabile nel momento in cui ha concepito "Guernica", il cui tema è oggi chiaro solo grazie al titolo e alle spiegazioni dei critici d'arte.
 
Così, sapresti dirmi cosa racconta la foto sopra? Si vede un grande albero immerso nella luce dell'alba e dietro una strada. Ci saranno milioni di località così. Eppure questa è la prima foto che Sternfeld ha realizzato per il suo progetto: si tratta di un melo a Central Park (New York) sotto cui venne rinvenuto, il 26 agosto del 1986, il corpo senza vita di Jennifer Levin. Un omicidio, dunque. 
 
Sternfeld passava di là di mattina presto e rimase colpito dalla bellezza della luce, dalla serenità della scena a contrasto con la memoria dell'evento delittuoso. Scommetto che anche tu - com'è capitato a me - ora "vedi" e percepisci queste sensazioni, ora che sai "tutto". Ma senza queste note, sarebbe davvero stato difficile arrivare a comprendere pienamente la foto, non trovi?
Foto
Altro esempio. Tra gli anni '20 e gli anni '50 l'esercito americano e la Hooker Chemical Corporation scaricarono nel Love Canal, a Niagara Falls (New York), almeno 200 diverse tipologie di sostanze chimiche altamente tossiche, molte delle quali contenevano diossina, che ben conosciamo anche in Italia. 
 
Nel 1953 la Hooker ricoprì la discarica chimica e vendette il terreno, tra l'altro anche al Niagara Falls Board of Education (corrispondente a un nostro Provveditorato agli Studi) che vi costruì una scuola. L'azienda fece sottoscrivere ai compratori un contratto in cui si specificava che non sarebbe stata ritenuta responsabile per qualsiasi danno fosse accorso negli anni a seguire. 
 
Negli anni '70 si verificarono innumerevoli casi di bambini nati deformi e una quantità abnorme di tumori in tutta la zona. Alla fine lo stato di New York acquistò oltre 500 case prossima all'area inquinata e trasferì tutti i residenti in zone più sicure. Nella foto vediamo appunto una delle casette che da allora giacciono abbandonate nella "terra dei fuochi" americana.
 
Storia davvero triste, ma guardando alla foto avresti mai potuto comprenderla? Ovviamente no. Ma se leggi le righe qui sopra e guardi alla foto, la magia avviene. Il testo e la foto dialogano, ognuno giustifica l'altro, lo motiva, lo rafforza.
Foto
Naturalmente questo significa che un simile progetto va concepito avendo bene in mente il "canale" con cui verrà diffuso. Una mostra è certo meno adatta di un libro, perché difficilmente le persone leggono testi lunghi mentre visitano una galleria o un museo.

​Ma il libro fotografico è in tal senso assolutamente perfetto. Mi permette di guardare le foto e leggere con calma la lunga didascalia e finalmente comprenderle. Trovo che sia come una sorta di "illuminazione", qualcosa di molto "Zen" (foto del libro tratte da Internet).
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Ci sono ancora molti che ritengono che le foto dovrebbero parlare da sé, che scrivono S.T. (Senza Titolo) accanto alle proprie opere, che si ostinano a evitare qualsiasi didascalia, che creano libri con sole foto e testi quasi assenti.
 
Rispetto tutte le opinioni, e credo che solo l'Autore possa decidere, e sia dunque libero di scegliere una strada piuttosto che l'altra. Dal punto di vista dello spettatore, però, io credo che poter comprendere in modo chiaro il "messaggio" sia di certo preferibile!
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Sviluppare un file RAW

9/4/2021

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Quel che si dice normalmente, e cioè che il file RAW ("grezzo" in inglese) sia un po' una sorta di "negativo digitale", è vero soltanto a metà. In effetti, il grumo di pixel che fuoriesce dalla fotocamera, preso così com'è, è inutilizzabile. Se non lo si elabora in qualche modo, non possiamo condividerlo o farci altro, esattamente come un negativo dei bei tempi se non lo stampavamo in camera oscura (o non lo scansoniamo come si fa il più delle volte oggi) serviva davvero a poco.
Foto
Non è un caso che Adobe, quando ha creato quello che sarebbe dovuto essere il formato digitale universale, che avrebbe dovuto sostituire i vari NEF, CR2 & Co., diversi da marca a marca di fotocamera, decise di chiamarlo Digital Negative (.dng).
 
Ma in realtà le similitudini finiscono qui. Innanzitutto il negativo digitale non è affatto un negativo, ma un positivo: aprendolo in un qualsiasi software apparirà semmai più simile a una diapositiva che - appunto - a un negativo.

Poi le sue caratteristiche possono essere modificate in un modo che nemmeno il mago più esperto degli sviluppi chimici avrebbe saputo fare con un negativo e nemmeno con la relativa stampa analogica. Di fatto, il file RAW contiene solo informazioni, non ha nessuna concretezza fisica (e in questo il negativo analogico vince alla grande) e dunque occorre passare per un software, per dargliela in qualche modo. E la faccenda è meno intuitiva e semplice di quanto si pensi, sebbene esistano oramai parecchi "automatismi" informatici che consentono di ottenere una foto ragionevolmente buona con un paio di "click". 
 
Ma è evidente che per avere il meglio, giocoforza è necessario impegnarsi un po', e perdere del tempo per imparare a gestire curve, timbro clone, saturazione e quant'altro.
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Ora, lo scopo di questo post non è - nemmeno potrebbe essere - quello di spiegare passo passo come si sviluppa un file RAW, cosa tra l'altro quasi impossibile perché ogni foto richiede un trattamento personalizzato. Ed è su questo che magari mi piacerebbe porre l'accento in questa occasione. Durante i miei corsi e i miei workshop noto subito che i fotografi, specialmente se inesperti, si gettano a capofitto all'interno di Lightroom, Photoshop, Infinity, DarkTable o altri programmi allo scopo di risolvere la faccenda seguendo le indicazioni apprese in qualche tutorial online.
 
Ora, credo che questo approccio sia altrettanto sbagliato di quello - molto simile - che si fa in ripresa. Come dinanzi a un soggetto che ci interessa e ci ispira occorre ragionare sul da farsi, valutare cosa si vuole davvero comunicare e come farlo, così quando avremo sullo schermo il nostro file RAW - che appare in genere smorto e poco attraente - dovremo prima di tutto ricordare quelle che erano le nostre intenzioni al momento dello scatto.
 
Faccio un esempio molto semplice. Io lavoro principalmente in Bianco e Nero e il più delle volte imposto la fotocamera in modo che non mi mostri i colori sul display, anche se il file sarà comunque a colori. Quando compongo la scena e faccio le mie scelte, so già che la foto sarà non solo monocromatica, ma anche contrastata o morbida, chiara o molto scura, e così via. Una volta aperto il file nel software prescelto cerco di sviluppare la foto perché aderisca alle decisioni prese sul campo. Ecco, questo penso andrebbe fatto ogni volta.
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Ovviamente si può anche cambiare idea e magari una volta a casa si fanno scelte diverse: l'importante è decidere prima cosa si vuole ottenere e poi iniziare a interagire con il software. Nulla vieta di avere dei presets di nostro gradimento, o di crearne ad hoc con parametri impostati da noi. Io vi ricorro spesso perché è ovvio che ho un modo di fotografare che può ripetersi e molte delle mie foto hanno un trattamento simile o con poche varianti. Ma so anche che altrettanto spesso per ottenere quel che voglio dovrò perdere del tempo, e lavorarci su. E ci sono anche volte in cui le elaborazioni possono diventare molto complesse e laboriose. 
 
Ad esempio, io non utilizzo più l'HDR quando necessario, preferendo comporre due foto (una per le alteluci e una per le ombre) a mano, con le maschere di livello, per un risultato più naturale. Tipicamente questo è il caso di quando si ha un cielo luminoso e un primo piano più scuro. In casi del genere la postproduzione può arrivare a richiedere molto tempo, ma onor del vero non mi capitano spesso.
 
Gli interventi che si faranno sul file sono anche "figli" delle nostre capacità: sono arciconvinto del fatto che solo smanettando continuamente si possa davvero imparare a gestire softwares a volte molto complessi. Anche frequentando corsi o leggendo manuali, alla fine se non si fa continuamente pratica non si acquisisce la necessaria competenza per lavorare in tranquillità.

E' dal 2002 che lavoro in digitale (oltre che in analogico) e posso ben dire che in questi 18 anni ho postprodotto quasi quotidianamente le mie fotografie. Ma ancora tutte le procedure che non uso regolarmente tendo a dimenticarle, come credo sia normale. Dunque il consiglio che mi sento di darti è di spendere ogni giorno anche solo 10 minuti a esercitarti con il software che hai scelto.
 
Vedrai che col tempo tutto si semplifica e le cose verranno naturali. Detto tutto questo, credo che alla fine l'80% del lavoro di sviluppo si concentri in pochi comandi (comuni a ogni software che si rispetti) che dovrai dominare senza incertezze:

  • Bilanciamento del Bianco - In genere consiste in un comando a forma di contagocce: basta cliccare su una superficie neutra (bianca, nera o meglio grigia) per ottenere una calibrazione del bianco efficace, che poi può essere personalizzata con i comandi manuali, spesso RGB, a volte più complessi. In alcuni software il comando è compreso nelle "curve", insieme al contagocce per stabilire il punto del nero e quello del bianco;
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  • Recupero alteluci e ombre - I comandi hanno magari nomi diversi, ma alla fine servono sostanzialmente a evitare che le aree luminose siano "sfondate" e le ombre "chiuse" e quasi nere. Per lavorare bene con questi comandi è preferibile attivare il "blinking" di luci e ombre in genere presente ai due lati in alto dell'istogramma: sulla foto vengono mostrate, colorate in blu e rosso, le aree problematiche su cui intervenire;
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  • Curve - Sostengo sempre, e credo di aver ragione, che se si dovessero buttar via tutti i comandi di un software e tenerne uno solo, io salverei le curve, con cui puoi fare davvero tutto: aumentare o diminuire il contrasto, modificare luci e ombre, calibrare le tonalità (operando sui canali RGB), ottenere effetti particolari. Davvero con le curve, come abbiamo visto nel post dedicato all'istogramma, puoi avere il controllo totale della tua fotografia. Credo sia meglio approfittarne!
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Detto tra noi, una volta che la neutralità cromatica è stata aggiustata, le ombre e le luci sistemate e il contrasto calibrato a volontà, il grosso del lavoro è fatto.
Poi, certo, può essere necessario rimuovere i punti creati dalla polvere sul sensore, fare qualche intervento più deciso, ma insomma, capita solo in una piccola percentuale di fotografie. Quello che tendenzialmente bisognerebbe sempre evitare è utilizzare i software per "correggere" gli errori in ripresa. Può capitare, ma se capita spesso il problema va affrontato a monte, non a valle...
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Leggere un istogramma

31/3/2021

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Spesso mi viene chiesto come valutare, dal punto di vista esposimetrico, una fotografia: s'intende, già scattata. Insomma, come valutare di aver effettuato, sul campo, le scelte giuste e di non avere magari peggiorato le cose in postproduzione?

In genere rispondo sempre che, in effetti, abbiamo la possibilità di vedere quella che è (da ogni punto di vista) la "fotografia di una fotografia", cioè l'istogramma. E se la fotografia originaria ci confonde a causa del soggetto, dei colori, della composizione, l'istogramma è una "fotografia" più precisa e scientifica. Lo ammetto: è un po' (parecchio) meno affascinante!
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In effetti l'istogramma rappresenta, su ascisse e coordinate di un normale piano cartesiano, ogni singolo pixel della nostra fotografia, solo slegato dalle forme del soggetto e reso come pura quantità di luce.

A seconda della sua collocazione possiamo sapere se quel punto è scuro (se è più verso sinistra) oppure chiaro (se più verso destra), e di quanto. Ipoteticamente, il grigio di cui è riempito l'istogramma rappresenterebbe il numero di pixel della foto (ad esempio, 20 milioni), ma è sottinteso che parliamo di qualcosa di teorico. In verità a noi interessa soprattutto la forma complessiva dell'istogramma, che ci permette di valutare la nostra fotografia in modo efficacissimo e preciso.
 
Una breve nota prima di andare avanti: l'istogramma è visualizzabile anche in anteprima sul display della fotocamera, cosa che ci permette di scattare in modo più responsabile. Inoltre, si può controllare l'istogramma anche subito dopo lo scatto, a ulteriore verifica.
 
Per esperienza, però, questi istogrammi sono solo indicativi: fanno riferimento infatti al piccolo jpeg generato dalla fotocamera in allegato al file RAW (se si scatta in RAW, com'è sempre consigliabile) e che serve appunto per visualizzare la foto stessa: il formato grezzo, infatti, è solo un "grumo di pixel" che la macchina non può utilizzare direttamente. Dunque l'istogramma della fotocamera - già piuttosto piccolo - è anche poco preciso. Comunque aiuta, e molto.
 
Ma andiamo avanti. Diciamo che apriamo la nostra foto in un software tipo Lightroom di Adobe (ma ce ne sono tanti altri). La cosa buona è che questi software ti mostrano l'istogramma scisso nei tre canali RGB, cosa che consente di capire anche se la foto è bilanciata o meno dal punto di vista cromatico. Guarda la foto qui sotto.
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 Come puoi intuire è praticamente monocromatica, ma in realtà nel verde non c'è solo il verde, ma un mix di altri colori, come il blu. Possiamo notare che l'istogramma del verde è più alto a destra, il che vuol dire questo colore prevale nelle zone luminose, mentre nelle aree più scure e in ombra, al verde si sovrappone il blu, come dimostra il picco a sinistra. La foto, nel suo complesso è equilibrata dal punto di vista della distribuzione delle luminosità (d'altra parte è molto morbida), ma ha ovviamente (e volutamente) un totale sbilanciamento cromatico. Un altro esempio ancora più chiaro.
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In questo caso, come vedi, le aree illuminate dal sole sono "calde", e infatti il rosso e il verde (insieme danno il giallo) sono spostati a destra, mentre a sinistra, nelle aree in ombra, prevale il blu. All'estrema destra c'è un vuoto: significa che mancano le aree molto chiare, ma questo è normale trattandosi di una foto complessivamente "scura". Si potrebbe ovviare grazie alle curve (magari lo vedremo in un altro post), ma è una scelta del fotografo.
 
Se ragioniamo in termini di aree di colore, a volte è più semplice esercitarsi su istogrammi "monocromatici", presenti in tutti i software. Qui ti faccio degli esempi ripresi dal software gratuito (un semplice browser) FastStone. 
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La foto qui sopra è un classico esempio di immagine in cui prevalgono nettamente le aree chiare, com'è ovvio, visto che gran parte della scena è sostanzialmente bianca. Infatti abbiamo un picco tutto a destra (si potrebbe schiarire ancora la foto facendo in modo che l'attacco dell'istogramma tocchi il bordo a destra.
 
Leggendo l'istogramma, anche senza guardare la foto, sapremmo che presenta un'ampia zona molto chiara con dei dettagli più scuri, in tono grigio medio, ad eccezione del tronco in primo piano a cui si deve il piccolo picco (scusa la cacofonia) a sinistra.
 
Questo per dire che non è detto che - come si legge spesso online - l'istogramma debba essere una curva perfettamente centrata: anzi, in genere una simile foto è piatta e priva di contrasto. Teoricamente, se possibile, in fase di ripresa occorrerebbe puntare a ottenere un istogramma il più neutro possibile o, meglio, sbilanciato (senza esagerare) a destra. Ma di questo magari parleremo in un'altra occasione.
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Un istogramma equilibrato è ovviamente desiderabile nei casi di foto in cui la morbidezza delle luci è fondamentale (vedi foto qui sopra). L'istogramma è spostato a sinistra, perché la scena è in ombra , ma la foto nel suo insieme è equilibrata. L'istogramma si abbassa molto sul lato destro, ma arriva comunque a toccare il bordo.
Facciamo un esempio molto più estremo.
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In questa foto potresti quasi chiederti: oddio, che fine ha fatto il mio istogramma!? In realtà la foto presenta un'ampia zona del tutto nera e senza dettaglio (picco strettissimo all'estrema sinistra) e un'ampia zona chiara (picco strettissimo all'estrema destra). Una foto dal contrasto esagerato, come richiesto dal soggetto, giocato sulla fusione tra il cavaliere e gli alberi in silhouette.
Foto
Una situazione simile, ma meno drastica, è quella della foto sopra: un'area buia molto grande che però non diventa mai "nera. Anche nelle ombre più scure, come nelle luci più chiare, è bene ci sia sempre un minimo di dettaglio. Ovviamente l'istogramma manca del tutto del lato destro, ma trattandosi di una foto decisamente "buia" è normale.
 
Non pretendo di esaurire un argomento così vasto e articolato con queste brevi note, che però spero ti siano utili a comprendere l'importanza dell'istogramma, che va sempre consultato in fase di postproduzione per capire da dove si parte e dove si vuole arrivare.

Non occorre che si arrivi a un istogramma "perfetto", è sempre una questione di scelte, l'importante è che siano consapevoli, e non errori involontari. L'istogramma ti aiuta a ottenere quel che ti eri prefisso in fase di ripresa, e non va quindi considerato come un limite, anzi è una grande possibilità. Soprattutto, quando non si riesce a capire bene "cosa non va" in una foto, ti rivela ogni arcano della ripresa, dalle dominanti nascoste ai "buchi" nelle luci e nelle ombre, senza tra l'altro che ci metta lo zampino qualche problema di tipo tecnico, tipo un'errata calibrazione (o assenza totale della stessa) del nostro monitor.
​ 
Insieme alle curve, insomma, permette davvero di avere il controllo totale delle nostre fotografie.
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Il test della verità (si fa per giocare)

23/3/2021

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Se potessi avere 30.000 euro...

Beh, non proprio le mille lire al mese della canzone anni '30 (allora però 12.000 lire l'anno erano un bel vivere), ma comunque una cifra che molti si possono permettere di spendere per un'automobile, ad esempio. Ma non è di automobili che voglio parlare. Parliamo di fotografia, invece, e immaginiamo che un giorno tu riceva una telefonata da un notaio: un misterioso "zio in America" di cui ignoravi l'esistenza è morto e ti ha lasciato in eredità una parte dei suoi averi, bei 30.000 euro (o dollari, visto che viveva negli USA).  

Ma potrebbe andar bene anche una vincita al Totocalcio, se l'ipotesi di aggrada di più (ma la possibilità che si verifichi la prima è più alta).

Decidi che, visto che è un dono piovuto dal cielo, che non ti aspettavi e che non hai nemmeno dovuto faticare per ottenere, destinerai l'intera cifra a spese di tipo fotografico. Saggia scelta, direi. 
Bene, cosa acquisti?

Quello che ognuno compra - in qualsiasi campo, ma ancor più in campo artistico ed espressivo - è molto significativo. Rivela le priorità e anche la psicologia del soggetto. Dunque facciamo - tanto per giocare - questa sorta di test. Alla fine somma i punti assegnati e controlla il tuo profilo. Mi raccomando di essere sincero (tanto chi lo viene a sapere?) altrimenti in test non funziona (ma non so se funziona comunque)...

1 - Una fotocamera nuova con obiettivo performante - Direi un classico, la prima cosa che viene in mente, in effetti. Quale fotografo non desidera acquistare una fotocamera migliore di quella che ha già? E un obiettivo più performante e professionale, e magari luminoso? E' umano, sebbene spesso non porti a reali miglioramenti delle proprie fotografie. Con 30.000 € potresti permetterti  una medio formato digitale, anche se poi non ti resterebbe granchè per altro.
Non acquisto nessuna fotocamera > 10 punti
Investo solo 5000 € per la fotocamera > 5 punti
Investo tutto in fotocamera e obiettivo > 0 punti

2 - Un viaggio fotografico che sogno da tempo - Magari anche con la guida di un fotografo esperto, una sorta di Workshop per migliorare le proprie capacità fotografiche. D'altra parte sei fermamente convinto che solo viaggiando puoi perfezionare il tuo modo di fotografare, che solo l'esotico sia in grado di stimolare e liberare le tue energie creative.
Non faccio nessun viaggio esotico > 10 punti
Investo la metà della cifra per i miei viaggi > 5 punti
Investo tutto per un giro del mondo fotografico > 0 punti

3 - Acquisto un sacco di libri fotografici e viaggio per andare a vedere musei di fotografia e mostre fotografiche - Punti tutto sulla cultura, o quasi. Con una cifra del genere puoi permetterti di andare a visitare un sacco di mostre, anche all'estero, e anche numerosi festival, di qualunque tipo. Certo, con l'occasione farai un sacco di fotografie, ma non è questo lo scopo principale del tuo viaggiare. Inoltre acquisti tutti quei libri fotografici il cui prezzo ti aveva sinora spaventato. Anche quelli "vintage" e introvabili, che ora puoi permetterti di pagare a prezzo di collezionismo. Wow!
Investo tutto per acquistare libri e vistare mostre > 10 punti
Almeno 10.000 € li investo in libri e mostre > 5 punti
Non spendo nemmeno un centesimo per 'sta roba > 0 punti

4 - Finanzio una mia mostra o la pubblicazione di un libro fotografico di un mio progetto - Magari ti reputi già piuttosto bravino, e dunque perché spendere per imparare ancora? Meglio puntare a diffondere il proprio lavoro. Da anni hai quel meraviglioso progetto, e ora finalmente ne potrai ricavare una mostra con stampe 70x100 cm... anzi no 300x400 cm, su carta Fine Art, montate su pannelli Dibond in alluminio. Costo quasi 500 euro l'uno, ma ne vale la pena. Oppure potrai finalmente autopubblicarti un libro fotografico: 5000 copie in offset, stampa duotone su carta patinata high-gloss, CFC, fatta a mano. Roba del genere.
Investo tutto per pubblicare il mio libro o realizzare una mostra > 5 punti
Investo una parte del capitale per una mostra o un libro > 10 punti
Non investo neanche un sesterzio per queste cose autocelebrative > 0 punti

Bene, ci siamo. Ora finalmente, grazie a questo test altamente scientifico (ah ah ah ah ah!) pensato da grandi conoscitori della psiche dei fotografi, saprai che tipo di essere umano (e giocoforza fotografo) sei. La rivelazione di questa verità potrebbe scioccarti, ma cerca di mantenere la calma: a tutto c'è rimedio, tranne che... vabbe' lo sai.

Da 20 a 30 punti - Per la miseria,  più saggio di Yoda, sei. O almeno appari. Perché suvvia, hai mentito spudoratamente, anche se lo negherai pure sotto tortura. Comunque sei bravo, ma proprio bravo. Miss/Mister perfettino/a. A chi vuoi darla a bere? Sei così perfetto che la circonferenza si è sucidata dopo la tua nascita. E ovviamente spenderai tutti i soldi per fare beneficenza, altro che fotografia...

Da 10 a 15 punti - Oh, finalmente una personcina normale! Con le sue debolezze e i suoi punti di forza. Sei posato, tranquillo, in grado di controllarti. A volte, come fotografo, sei dannatamente noioso, con quelle foto tutte leccate, precisine, perfettamente a fuoco, magnificamente composte, un po' fiacche nel contenuto machissenefrega. Sei la persona giusta a cui affidare i propri soldi ma, data l'eredità appena ricevuta, forse è meglio chiderteli. Nella certezza che magnanimamente li concederai a un tasso accettabile.

Da 0 a 5 punti - Hai l'onestà di un Charles Manson, e lo stesso rigore morale. Ma in fondo è meglio così: l'artista deve essere maledetto. E tu lo sei, perbacco. Se 30.000 euro bastassero ti faresti costruire la Morte Nera, ma per ora ti accontenti di una fotocamera quasi altrettanto tecnologicamente dotata anche se meno distruttiva, e di certo più portatile. Beh, auguri, Dart.
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La foglia fotografa

15/3/2021

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Quando si parla di editing, specialmente di un libro, si pone una particolare enfasi su due foto: quella di apertura, che deve indurre lo spettatore a "entrare" nella serie, e quella di chiusura che - in teoria - deve lasciare un indelebile ricordo (si fa per dire) delle foto appena viste.

​Perciò immagina con quanta ansia un fotografo si avvicina alla scelta di queste due foto che possono determinare se non il successo, almeno la piena riuscita di un lungo lavoro!
Foto
Per il mio progetto "FOTO|SINTESI" la scelta è stata particolarmente difficile, soprattutto per la foto di chiusura. Alla fine ho deciso, optando per una foto che i più - sicuramente - considereranno confusa e magari poco significativa. Un bel rischio lasciare un simile ricordo in chi avrà sfogliato tutto il libro. Il fatto è che in questo caso ha prevalso l'aspetto diciamo "intellettuale" - ma in verità sentimentale - rispetto a quello meramente iconografico.

​Infatti, mi piaceva troppo l'idea di chiudere il libro con una foto scattata utilizzando una foglia come "obiettivo", dunque guardando il bosco dal punto di vista dell'albero...
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Ovviamente parliamo di un foro stenopeico naturale, quello che qualche insetto ha creato sulle foglie cadute nel sottobosco. Ho faticato non poco a trovare la foglia giusta: a volte il foro era troppo grande, a volte troppo irregolare.

Infine, ai piedi di un grande e annoso Bagolaro (Celtis australis) ho incontrato il mio "obiettivo". Un albero come questo ne ha "viste" di cose! le sue foglie debbono saper raccontare storie niente male.

Avevo già predisposto il meccanismo per utilizzare la foglia "giusta", fissando a un tappo della fotocamera (una Olympus Micro4/3), opportunamente forato, un telaietto per diapositive apribile, di quelli con i vetrini. All'interno ho collocato al centro la mia foglia bucata e tutt'intorno altre foglie per evitare infiltrazioni di luce. Sorpresa: l'insieme funziona!

​Certo, il "pinhole" è impreciso e decisamente ampio per la lunghezza focale della piccola mirrorless, ma alla fine si ottengono immagini poco nitide ma evocative.​
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Le foglie secche non sono del tutto impermeabili alla luce e colorano dunque l'immagine nei toni dell'ocra e di un po' di verde residuale, come si vede nella foto sopra, quella prescelta per chiudere appunto il libro.

A me sembra una foto "primordiale", in cui non conta tanto quel che si vede, quanto quel che si percepisce, quasi come la nota fotografia di Niepce, la prima ufficialmente riconosciuta, realizzata dalla finestra del suo studio. 
​
Ho davvero avuto l'impressione di guardare con gli occhi dell'albero: secondo i botanici le piante hanno una sorta di senso della "vista", sebbene ben diverso da quello degli animali. Diciamo che sanno orientarsi nello spazio inseguendo la luce - o fuggendola, come nelle specie "sciafile" o come nelle radici - e dunque questa foto suggerisce appunto una modalità visiva poco sviluppata ma legata alla luce, e alla magia di quel fenomeno da cui tutti dipendiamo per vivere, chiamato appunto fotosintesi...

Trovi tutte le informazioni sul mio progetto e sul libro nell'apposita pagina di questo sito.
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    ​Autore

    Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). Per oltre 15 anni ho collaborato con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando oltre 200 reportage. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling.


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