MARCO SCATAGLINI
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Terre desolate

21/2/2021

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Grandi porzioni del territorio italiano e mondiale possono essere definite terre spopolate: letteralmente, terre senza popolo. Nessuno più la abita, nessuno. Abitare un luogo, come scrive Franco La Cecla nel suo saggio “Perdersi”, non è stare in un luogo, non è avere il proprio domicilio in un punto preciso della mappa catastale, non è avere un indirizzo in cui ricevere la Posta e i pacchi con le merci di Amazon. Fino alla fine del XVIII secolo non esistevano i nomi delle strade e i numeri civici, figuriamoci. E’ con la modernità che ognuno ha iniziato ad avere delle precise coordinate geografiche in cui fosse sempre raggiungibile.
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Ma avere queste coordinate non significa davvero abitare un luogo, dicevo. Perché oggi il cittadino medio (per fortuna ci sono le eccezioni) vede il territorio circostante solo come un’opportunità, soprattutto economica. Può guardarlo riempirsi di pannelli fotovoltaici e pale eoliche senza battere ciglio, può vederne i terreni agricoli sfregiati da coltivazioni sempre più estensive e meccanizzate e credere che in fondo sia giusto così, può osservare con disincanto il diffondersi di villette e abitazioni senza stile per ogni dove, ritenendolo il necessario prezzo da pagare alla modernità e allo sviluppo. E ovviamente non si interesserà mai dei rifiuti sparsi per ogni dove, dei torrenti inquinati, dei boschi abbattuti, dei veleni sparsi nei noccioleti che si espandono a spese delle coltivazioni più tradizionali. Nemmeno noterà, forse, come l’edilizia moderna sfregi i centri abitati, i borghi medievali, gli antichi insediamenti.
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Una frattura insanabile è oramai giunta a separare i cuori di chi vive in questi luoghi e i luoghi stessi: per questo nessuno li abita più. Perché abitare significa essere radicati in un territorio, amarlo e rispettarlo, anche modificarlo, ovviamente, ma rispettandone la vocazione e la natura, la storia e lo spirito, eleggendolo a Heimat, patria dell’anima, non solo del corpo.

Magari ci sono anziani pastori e qualche contadino ancora legato alle vecchie tradizioni che percepiscono il legame profondo con gli Avi, ma di certo tutti gli altri passano e vanno sui territori e non con leggerezza, ma col passo pesante dettato dal cosiddetto “progresso”. Vere armate Brancaleone di persone sradicate, a parole “innamorate di questa terra bellissima” (la terra dove passano è sempre bellissima, a prescindere), ma di fatto incapaci di vederla, vederla davvero. Nella migliore delle ipotesi la considerano una meta per belle passeggiate, in cui l’ennesimo “selfie” davanti al rudere antico diventa l’occasione per mostrare la meraviglia e la bellezza di un “luogo magico”.

La magia è sparita da tempo, purtroppo, e personalmente l’ho cercata a lungo, con centinaia di escursioni, passeggiate, “esplorazioni” qua e là per l’Italia centrale, ora soprattutto nella Tuscia, dove abito. A volte ne ho percepito, forte, la presenza, che poi si dileguava dinanzi alle buste di plastica appese ai rami degli alberi, all’odore di tensioattivi che evapora dalle acque dei torrenti, ai rifiuti accumulati nelle necropoli, ai tagli boschivi devastanti, alle strade aperte ovunque, alle tracce delle moto da fuoristrada e al loro rumore lontano, che rimbomba nella valle insieme a quello della motosega.
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Per alcuni l’approccio di certi “esploratori” si chiama “turismo di prossimità”, che la recente pandemia ha reso più diffuso e invasivo. Non lo so, io ricordo anche prima questi gruppi di gitanti allegri e caciaroni – che la “simpatia” del gruppo è parte integrante del fascino di queste iniziative, come se il silenzio di una forra non fosse affascinante abbastanza – in grado di ignorare i segni del degrado e di farsi la foto di gruppo dinanzi la cascata “bellissima”, nonostante le sue acque odorino di piscio. E se pensate che parli in astratto, vi garantisco che ci sono cascate davvero bellissime per essere quasi delle fogne a cielo aperto. Francamente, gli “wow” di chi si affaccia a guardarle non riescono a coprire la tristezza di questo assassinio del “Genius Loci”.
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In Italia di terre disabitate ne esistono tante. Se penso alla Campagna Romana (altro luogo a cui ho dedicato tempo, impegno e lavoro) non posso che rallegrarmi di girare in luoghi certamente meno degradati e assediati. Ma La Tuscia, proprio per questo, è una ferita sanguinante, perché difficilmente la si riesce a dare come “terra perduta”, data la bellezza di tanti luoghi che ancora conserva. E perciò le ferite inferte a tale territorio fanno più male, sanguinano più violentemente.

Una parte di me spera ancora che si possa assistere a un risveglio civile, che deve passare per forza attraverso un ritorno all’abitare i luoghi, a sentirsi parte integrante di un territorio, dunque in grado di non barattarlo per scampoli di (finto) progresso. Non bastano certo le pur encomiabili iniziative di comitati e associazioni che si impegnano a togliere rifiuti dai prati e dalle forre o che si battono contro l’ennesima foresta di pale eoliche a due passi dai centri abitati. Questa è come un’aspirina per togliere la febbre alta, ma che non cura la malattia che la provoca.

Credo però che sarà difficile cambiare strada, e basta allargare lo sguardo per rendersene conto. Tutte le dichiarazioni sulla necessità di “fare presto” per salvare il pianeta dai mutamenti climatici, si scontrano poi con le richieste di “crescita economica”, “sviluppo”, “nuove infrastrutture”, insomma nuovo cemento, asfalto e CO2. Se non fosse tragico, sarebbe ridicolo.

Si è addirittura coniato un assurdo termine ossimorico, quello di “sviluppo sostenibile”: ma non di sviluppo occorrerebbe parlare, ma di decrescita, intesa come decrescita degli sprechi, dei consumi (di merci e di territorio) e dunque anche economica. Un pianeta finito non può sostenere una crescita infinita, dunque il momento di “decrescere” arriverà per forza, possiamo solo scegliere se farlo in tempo e consapevolmente o in modo traumatico. Ma vedo che la lezione del Covid non ci sta insegnando nulla.

Ora, tutta questa tirata ecologista ti avrà annoiato, e lo so. Anche perché sembra non avere alcun rapporto con la fotografia. E invece ce l’ha, almeno per me.

Infatti, debbo fare una confessione: ho sempre mentito, sono uno spregiudicato falsario, uno spergiuro. Ho sempre condiviso foto che sembrano riprendere luoghi intatti e bellissimi, anche se non erano davvero così.

La fotografia mente, mente sempre, e in fondo a me piace per questo. Mi piace, in particolare, “immaginare” i luoghi come se fossero belli e integri, anche se non lo sono. Per questo non mi sono mai sentito in colpa, mi sembrava un imbellettare la realtà al solo scopo di creare immagini destinate a dare un pizzico di gioia, almeno per gli occhi. Tanti, tantissimi fotografi fanno così, questo lo dico a mia discolpa.
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Qualche giorno fa, col mio amico Roberto ci siamo fermati a fotografare una diga medievale da cui scendono due belle cascatine, che abbiamo visto passando sulla strada. La foto è quella sotto. Bel posto, vero? Che monumento grandioso, non trovi?
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Ma dalla foto non puoi comprendere appieno quanto fosse sporca e inquinata l’acqua, il puzzo di fogna e tensioattivi, i rifiuti di plastica che ho rimosso, e ovviamente il rumore dei camion che passavano sulla strada lì vicino. Ecco, ora che sai tutto questo puoi guardare alla foto con gli stessi occhi disincantati e magari chiedermi “dov’è?” per andare a farci una gitarella?

Se mi chiedi se continuerò a fare foto del genere ti risponderò di sì, lo farò. La chiamo la mia “fotografia onirica”: come per il lavoro sulla Campagna Romana, voglio ancora mostrare i luoghi come sogno che siano e non come sono in realtà il più delle volte. Nella speranza che magari qualcuno rimuova gli elementi negativi e quei luoghi davvero diventino come sono rappresentati nelle fotografie.

Ma ho anche deciso di realizzare un progetto fotografico che vada oltre. A volte mi costa un po’ di fatica, a volte è una rivelazione.

Scopro, ad esempio, come Madre Terra sappia con gentilezza e pudore rendere alla fine se non “bello” almeno accettabile anche il peggiore dei guasti che arrechiamo al suo splendido manto, permettendo a noi fotografi di creare comunque delle foto interessanti, come ampiamente dimostrato dai “New Topographics” e da Robert Adams in particolare.

Non sono foto che condividerò online. Da sole magari non sono facilmente comprensibili, specialmente dalla massa di utenti in cerca di “posti belli” dove fuggire nel fine settimana. A loro magari continuerò a proporre delle pie illusioni. Ma sono foto a cui tengo, questo si: mi permettono di non provare più sensi di colpa e forse, in parte, iniziare ad abitare questa terra – la Tuscia - così bella e fragile, sempre in bilico, perché affidata a chi non la comprende e non la rispetta davvero (se non a parole) e non viene più “vista” da coloro che la percorrono quotidianamente ma oramai sono insensibili al suo grido di dolore.
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Come diventare un vero fotografo artista

13/2/2021

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Ora ti spiegherò come NON diventare un fotografo popolare sui Social e dunque giocoforza un fotografo davvero bravo (almeno per finta). Ovviamente il tono è scherzoso, ma - come recita l'adagio - Pulcinella scherzando scherzando...
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Più di qualcuno me l'ha fatto notare. "Marco" mi han detto, "se continui a postare 'ste foto chi vuoi che ti metta i like?". La cosa potrebbe finire in un sonoro "ecchisenefrega!", però no, la voglio approfondire, se non per sfogarmi almeno affinché la cosa sia utile ad altri. 
 
Questi di seguito sono i motivi per cui io non sarò mai popolare sui Social e non avrò mai centinaia di migliaia di followers osannanti ai miei piedi, o ammiratori in grado di decantare per ore gli splendori delle fotografie che ho appena condiviso. Ma soprattutto questi sono i consigli per diventare come me e poter andare in giro a testa alta ben sapendo di far parte di una elite esclusiva e molto segreta. Talmente segreta che tutti ne ignorano l'esistenza. Come dev'essere, o no? Altrimenti che segreto sarebbe? Hmmmm.
 
- Innanzitutto cancella i colori sgargianti, scordateli proprio. Solo colori scialbi come se li avessi passati nella varechina (un po’ alla Ghirri, dirai, se vuoi darti un tono) o puro e semplice Bianco e Nero. La gente ama i colori, le foto squillanti e dalle tonalità allegre ed esagerate. Ma la regola d’oro del vero artista recita: mai dare alle persone quel che credono di volere! Il compito di ogni artista è decidere lui cosa la gente dovrebbe apprezzare!
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- Scegli soggetti che le persone non siano in grado di comprendere. Ad esempio, io fotografo spesso ruderi, luoghi abbandonati, siti archeologici sparsi per boschi, forre e macchie. "Ma che sarebbero 'sti quattro sassi?" mi ha detto un amico. Se i quattro sassi fossero  stati a portata di mano glieli avrei tirati in testa, ma in quel momento era complicato. Fa niente: i soliti tre amatori di simili soggetti potranno sicuramente mettere un mi piace striminzito che però, lo sappiamo tutti, vale molto di più dei trecentomila "like" ricevuti dalla solita foto a colori, al tramonto, con nubi colorate, fatta al Grand Canyon. Maledetti yankee.
 
- Aggiungi titoli e commenti che facciano sentire stupide le persone. Cose come "l'estasi dell'eterno", "Opus interior", "Sguardi d'infinita attesa" e minchiate del genere. Ricorda sempre che l'artista ha come scopo primario far sentire inadeguato il suo pubblico, il quale non arriva mai a capire le opere che gli vengono democraticamente proposte sui Social. Ma di questo l'artista gioisce, laddove il solito cercatore di popolarità cadrebbe in depressione. Ma tu non devi mica decorare bottiglie d'acqua minerale e venderle a 8 euro l'una, sei di ben altra pasta e nei supermercati ci vai solo a far la spesa, se ti resta qualche spicciolo.
 
- Non offrire spiegazioni. Mai! Mai! "Se la devi spiegare vuol dire che non è venuta bene" diceva il buon Ansel Adams paragonando fotografie e barzellette. Ora tu non ti abbasserai mai a spiegare a un misero parvenu culturale che cosa hai inteso rappresentare con la tua foto. E allora! Son capaci tutti a dire che siccome uno ha scattato una foto a un rudere, allora quella foto rappresenta un fottuto rudere. Eh no! Ma la studia la gente la storia dell'Arte? C'è stato Duchamp o no? Ha sdoganato il Ready Made o no? E che stiamo qui a pettinare le bambole? A smacchiare i leopardi? Eh su, dài! (su  questo alza la voce, devi essere convincente anche se su Duchamp non sai una beneamata e pensi che i Ready Made siano i surgelati da cuocere nel microonde: inganna! fingi!).
 
Se nonostante tutto questi ricevi comunque commenti positivi e ci sono utenti che addirittura hanno capito le tue fotografie e (incredibile!) le apprezzano, vuol dire che sei ancora troppo figurativo, troppo comprensibile, troppo diretto. Non va! Lavoraci su, hai visto mai che mi diventi un "influencer"?
 
 My God, un Influencer noooo!
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Un progetto solare

5/2/2021

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Quello nella foto sopra - realizzata con una tecnica che ho chiamato lumenphoto - sono io mentre discuto con il sole. Erano i giorni del "lockdown" e si poteva appena mettere il nasco fuori casa. Io continuavo a pensare a un modo per raccontare il mio rapporto con il sole, come relazionarlo alla mia vita.

Non ho mai amato molto i giorni di sole (a differenza del 90% della restante popolazione mondiale), preferendo di gran lunga le giornate nuvolose. Sarà un retaggio del mio essere "fototipo 1" che da sempre lotta con le scottature estive, chissà! Comunque sia, ero intenzionato a celebrare il sole, non per la tintarella o per la possibilità di trascorrere lunghe giornate al mare, ma per essere il "motore primo" di ogni cosa. E intendo OGNI cosa.

Noi non esisteremmo, nulla di vivo esisterebbe su questo pianeta senza questa piccola stella, insignificante a confronto con le stelle giganti di cui è pieno l'universo, tanto che, come scrive Ester Antonucci ("Dentro il sole"), "viene classificata come «nana gialla» in base alle righe spettrali che emette nel visibile, e ha temperatura superficiale di 5.780 K ... La sua luminosità è decine di migliaia di volte inferiore, per esempio, a quella di Rigel, ma per la Terra, che dista dal Sole solo 150 milioni di chilometri, il Sole è 100 miliardi di volte più luminoso di qualsiasi altra stella. Il Sole è la stella più vicina alla Terra: è la nostra stella. In 8 minuti la sua luce percorre la distanza che lo separa dalla Terra, la quale lungo la sua orbita quasi circolare intorno al Sole, compiuta in 365 giorni, riceve 1,36 kWatt di potenza luminosa per metro quadrato di superficie". 
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Ad ogni modo, dicevo, cercavo di esprimere la sensazione di gratitudine che provo verso la nostra stella per aver permesso non solo a me - e a tutti voi - di essere vivi, ma anche di permetterci di vivere su un pianeta ricco di animali ma soprattutto piante (che rappresentano l'85% della massa vivente della Terra!), cioè di bellezza. E volevo mettere questo in relazione proprio con me stesso: dunque nella foto, oltre al sole, volevo esserci, secondo la tecnica del "selfie", almeno in senso lato. E in effetti la foto è un selfie, sebbene realizzato con una fotocamera autocostruita caricata con un pezzetto di carta fotografica BN, tenuta all'estremità di un monopiede.
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Tutte le foto del mio progetto "FOTO|SINTESI" hanno dietro storie simili. Alcune anche meno felici (tipo la denuncia che mi sono beccato per aver sistemato in un terreno incolto dei barattoli per la solargrafia), ma in generale è stato davvero un progetto "liberatorio", in cui ho dato sfogo libero alla mia fantasia, senza alcun limite, sfruttando una decina di tecniche diverse, per due terzi analogiche e per un terzo digitali.
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Il mio progetto celebra la bellezza e potenza del Sole ma non solo: anche e soprattutto vuole essere un omaggio alle potenti alleate del sole nel creare la vita: le piante. Senza queste ultime non avremmo né cibo né aria da respirare.

Ho così pensato di partire dalle foglie, il laboratorio chimico delle piante dove avviene la magia che trasforma i fotoni impalpabili in zuccheri e dunque in cibo, grazie appunto al processo della fotosintesi. Per "fotografare" le foglie sono ricorso a tecniche particolari, alcune già disponibili (Antotipia, Lumenprinting, Lumigrafia, Fotogrammi…) altre invece frutto di riadattamenti o “invenzioni” personali (Oxydolumenprinting, Lumenphoto). 
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Ma questo mero elenco di tecniche dice poco rispetto al grande sforzo che ho fatto per immaginare un progetto fotografico del tutto diverso da quelli fatti in precedenza, oltretutto a colori (sebbene gran parte delle foto sia fatta su carta fotografica bianco e nero e questa è già una magia!). 
Foto
Molte delle immagini hanno richiesto ore di esposizione, le solargrafie addirittura mesi. Un modo per rallentare, prendersi il tempo, adeguarlo ai ritmi del sole stesso, il cui moto apparente determina il dì, suddiviso in giorno e notte. 

Sono molto contento dei risultati. Credo che il libro che ora è in fase di "crowdpublishing", dunque di finanziamento diffuso attraverso il preacquisto delle copie, oltre ad apparire diverso dal solito libro fotografico a cui siamo abituati (anche da quelli davvero “strani” che si realizzano negli ultimi tempi), sia anche in grado di trasmettere sensazioni positive, di cui abbiamo un disperato bisogno, e di far riflettere su questo nostro pianeta malato, su cosa stiamo facendo agli ecosistemi, alle possibilità di continuare a vivere in armonia con esso.
 
Partire dall’ombra di Dio, come Michelangelo chiamava il Sole, credo sia essenziale. Può essere un amico indispensabile, ma anche un nemico se non abbiamo rispetto dei meccanismi che regolano l’atmosfera. I mutamenti climatici sono solo il primo segnale. Invece di realizzare un lavoro di tipo reportagistico, ho scelto di tornare alle origini, secondo la mia ferma convinzione che dovremmo proteggere e amare la natura certamente per tutto quello che fa per noi, ma soprattutto perché è bella. E della bellezza, forse, abbiamo più bisogno dell’aria che respiriamo.

Se vuoi sostenere il mio progetto puoi andare nella pagina apposita presente in questo sito. Grazie!
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    ​Autore

    Sono un fotografo e un autore di saggi sulla fotografia (e non solo). Per oltre 15 anni ho collaborato con le più importanti riviste di viaggi e turismo, pubblicando oltre 200 reportage. Oggi mi occupo di fotografia creativa, alternativa e irregolare, sia analogica che digitale, e sono un ricercatore di “cose interessanti” da raccontare, soprattutto nel campo della fotografia, dei luoghi, della natura e dei paesaggi, anche grazie alle tecniche dello Storytelling.


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