Ora ti spiegherò come NON diventare un fotografo popolare sui Social e dunque giocoforza un fotografo davvero bravo (almeno per finta). Ovviamente il tono è scherzoso, ma - come recita l'adagio - Pulcinella scherzando scherzando... Più di qualcuno me l'ha fatto notare. "Marco" mi han detto, "se continui a postare 'ste foto chi vuoi che ti metta i like?". La cosa potrebbe finire in un sonoro "ecchisenefrega!", però no, la voglio approfondire, se non per sfogarmi almeno affinché la cosa sia utile ad altri. Questi di seguito sono i motivi per cui io non sarò mai popolare sui Social e non avrò mai centinaia di migliaia di followers osannanti ai miei piedi, o ammiratori in grado di decantare per ore gli splendori delle fotografie che ho appena condiviso. Ma soprattutto questi sono i consigli per diventare come me e poter andare in giro a testa alta ben sapendo di far parte di una elite esclusiva e molto segreta. Talmente segreta che tutti ne ignorano l'esistenza. Come dev'essere, o no? Altrimenti che segreto sarebbe? Hmmmm. - Innanzitutto cancella i colori sgargianti, scordateli proprio. Solo colori scialbi come se li avessi passati nella varechina (un po’ alla Ghirri, dirai, se vuoi darti un tono) o puro e semplice Bianco e Nero. La gente ama i colori, le foto squillanti e dalle tonalità allegre ed esagerate. Ma la regola d’oro del vero artista recita: mai dare alle persone quel che credono di volere! Il compito di ogni artista è decidere lui cosa la gente dovrebbe apprezzare! - Scegli soggetti che le persone non siano in grado di comprendere. Ad esempio, io fotografo spesso ruderi, luoghi abbandonati, siti archeologici sparsi per boschi, forre e macchie. "Ma che sarebbero 'sti quattro sassi?" mi ha detto un amico. Se i quattro sassi fossero stati a portata di mano glieli avrei tirati in testa, ma in quel momento era complicato. Fa niente: i soliti tre amatori di simili soggetti potranno sicuramente mettere un mi piace striminzito che però, lo sappiamo tutti, vale molto di più dei trecentomila "like" ricevuti dalla solita foto a colori, al tramonto, con nubi colorate, fatta al Grand Canyon. Maledetti yankee.
- Aggiungi titoli e commenti che facciano sentire stupide le persone. Cose come "l'estasi dell'eterno", "Opus interior", "Sguardi d'infinita attesa" e minchiate del genere. Ricorda sempre che l'artista ha come scopo primario far sentire inadeguato il suo pubblico, il quale non arriva mai a capire le opere che gli vengono democraticamente proposte sui Social. Ma di questo l'artista gioisce, laddove il solito cercatore di popolarità cadrebbe in depressione. Ma tu non devi mica decorare bottiglie d'acqua minerale e venderle a 8 euro l'una, sei di ben altra pasta e nei supermercati ci vai solo a far la spesa, se ti resta qualche spicciolo. - Non offrire spiegazioni. Mai! Mai! "Se la devi spiegare vuol dire che non è venuta bene" diceva il buon Ansel Adams paragonando fotografie e barzellette. Ora tu non ti abbasserai mai a spiegare a un misero parvenu culturale che cosa hai inteso rappresentare con la tua foto. E allora! Son capaci tutti a dire che siccome uno ha scattato una foto a un rudere, allora quella foto rappresenta un fottuto rudere. Eh no! Ma la studia la gente la storia dell'Arte? C'è stato Duchamp o no? Ha sdoganato il Ready Made o no? E che stiamo qui a pettinare le bambole? A smacchiare i leopardi? Eh su, dài! (su questo alza la voce, devi essere convincente anche se su Duchamp non sai una beneamata e pensi che i Ready Made siano i surgelati da cuocere nel microonde: inganna! fingi!). Se nonostante tutto questi ricevi comunque commenti positivi e ci sono utenti che addirittura hanno capito le tue fotografie e (incredibile!) le apprezzano, vuol dire che sei ancora troppo figurativo, troppo comprensibile, troppo diretto. Non va! Lavoraci su, hai visto mai che mi diventi un "influencer"? My God, un Influencer noooo!
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Quello nella foto sopra - realizzata con una tecnica che ho chiamato lumenphoto - sono io mentre discuto con il sole. Erano i giorni del "lockdown" e si poteva appena mettere il nasco fuori casa. Io continuavo a pensare a un modo per raccontare il mio rapporto con il sole, come relazionarlo alla mia vita. Non ho mai amato molto i giorni di sole (a differenza del 90% della restante popolazione mondiale), preferendo di gran lunga le giornate nuvolose. Sarà un retaggio del mio essere "fototipo 1" che da sempre lotta con le scottature estive, chissà! Comunque sia, ero intenzionato a celebrare il sole, non per la tintarella o per la possibilità di trascorrere lunghe giornate al mare, ma per essere il "motore primo" di ogni cosa. E intendo OGNI cosa. Noi non esisteremmo, nulla di vivo esisterebbe su questo pianeta senza questa piccola stella, insignificante a confronto con le stelle giganti di cui è pieno l'universo, tanto che, come scrive Ester Antonucci ("Dentro il sole"), "viene classificata come «nana gialla» in base alle righe spettrali che emette nel visibile, e ha temperatura superficiale di 5.780 K ... La sua luminosità è decine di migliaia di volte inferiore, per esempio, a quella di Rigel, ma per la Terra, che dista dal Sole solo 150 milioni di chilometri, il Sole è 100 miliardi di volte più luminoso di qualsiasi altra stella. Il Sole è la stella più vicina alla Terra: è la nostra stella. In 8 minuti la sua luce percorre la distanza che lo separa dalla Terra, la quale lungo la sua orbita quasi circolare intorno al Sole, compiuta in 365 giorni, riceve 1,36 kWatt di potenza luminosa per metro quadrato di superficie". Ad ogni modo, dicevo, cercavo di esprimere la sensazione di gratitudine che provo verso la nostra stella per aver permesso non solo a me - e a tutti voi - di essere vivi, ma anche di permetterci di vivere su un pianeta ricco di animali ma soprattutto piante (che rappresentano l'85% della massa vivente della Terra!), cioè di bellezza. E volevo mettere questo in relazione proprio con me stesso: dunque nella foto, oltre al sole, volevo esserci, secondo la tecnica del "selfie", almeno in senso lato. E in effetti la foto è un selfie, sebbene realizzato con una fotocamera autocostruita caricata con un pezzetto di carta fotografica BN, tenuta all'estremità di un monopiede. Tutte le foto del mio progetto "FOTO|SINTESI" hanno dietro storie simili. Alcune anche meno felici ma in generale è stato davvero un progetto "liberatorio", in cui ho dato sfogo libero alla mia fantasia, senza alcun limite, sfruttando una decina di tecniche diverse, per due terzi analogiche e per un terzo digitali. Il mio progetto celebra la bellezza e potenza del Sole ma non solo: anche e soprattutto vuole essere un omaggio alle potenti alleate del sole nel creare la vita: le piante. Senza queste ultime non avremmo né cibo né aria da respirare. Ho così pensato di partire dalle foglie, il laboratorio chimico delle piante dove avviene la magia che trasforma i fotoni impalpabili in zuccheri e dunque in cibo, grazie appunto al processo della fotosintesi. Per "fotografare" le foglie sono ricorso a tecniche particolari, alcune già disponibili (Antotipia, Lumenprinting, Lumigrafia, Fotogrammi…) altre invece frutto di riadattamenti o “invenzioni” personali (Oxydolumenprinting, Lumenphoto). Ma questo mero elenco di tecniche dice poco rispetto al grande sforzo che ho fatto per immaginare un progetto fotografico del tutto diverso da quelli fatti in precedenza, oltretutto a colori (sebbene gran parte delle foto sia fatta su carta fotografica bianco e nero e questa è già una magia!). Molte delle immagini hanno richiesto ore di esposizione, le solargrafie addirittura mesi. Un modo per rallentare, prendersi il tempo, adeguarlo ai ritmi del sole stesso, il cui moto apparente determina il dì, suddiviso in giorno e notte.
Sono molto contento dei risultati. Credo che il libro che ora è in fase di "crowdpublishing", dunque di finanziamento diffuso attraverso il preacquisto delle copie, oltre ad apparire diverso dal solito libro fotografico a cui siamo abituati (anche da quelli davvero “strani” che si realizzano negli ultimi tempi), sia anche in grado di trasmettere sensazioni positive, di cui abbiamo un disperato bisogno, e di far riflettere su questo nostro pianeta malato, su cosa stiamo facendo agli ecosistemi, alle possibilità di continuare a vivere in armonia con esso. Partire dall’ombra di Dio, come Michelangelo chiamava il Sole, credo sia essenziale. Può essere un amico indispensabile, ma anche un nemico se non abbiamo rispetto dei meccanismi che regolano l’atmosfera. I mutamenti climatici sono solo il primo segnale. Invece di realizzare un lavoro di tipo reportagistico, ho scelto di tornare alle origini, secondo la mia ferma convinzione che dovremmo proteggere e amare la natura certamente per tutto quello che fa per noi, ma soprattutto perché è bella. E della bellezza, forse, abbiamo più bisogno dell’aria che respiriamo. Se vuoi sostenere il mio progetto puoi andare nella pagina apposita presente in questo sito. Grazie! |
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