Gente strana, i fotografi. Voglio dire: se uno è appassionato di corsa campestre, o gioca con i trenini, o si dedica alla lettura, ai videogiochi o alle mille altre possibilità che esistono di avere un hobby, non è che sta sempre lì a pensare come guadagnarci qualcosa. Va bene, esistono professionisti in ogni settore e un collezionista di francobolli potrebbe anche scoprire un "Gronchi rosa" e guadagnarci su bei soldini, ma non è certo ossessionato dall'idea di dover guadagnare qualcosa da un passatempo, non lo fa per quello. Invece, i fotografi son sempre lì a chiedersi: come posso guadagnare grazie alle mie foto? Presumo sia colpa da un lato di un retaggio del passato, quando i "professionisti" erano il modello di riferimento, dall'altro del costo delle attrezzature, che spinge a cercare un certo "ammortamento" economico. Sia come sia, non esiste sito, rivista o libro che non abbia dei suggerimenti su come "guadagnare grazie alle tue foto": e giù consigli originali e innovativi (no: son sempre gli stessi). Allora, per completezza dell'informazione - sia mai che questo mio blog venga considerato poco attento alle esigenze dei lettori - ecco i miei cinque consigli per arricchirsi grazie alle tue foto. Dico arricchirsi perché son capaci tutti a suggerire tecniche per guadagnare qualche spicciolo, ma nessuno ti dice davvero come puoi diventare ricco sfondato grazie a una fotografia (Una? Si, ne basta una, se è quella giusta. Fidati). Ecco i miei consigli. Poi ci rivediamo alle Bahamas (anche se non credo ci andrò mai: odio il caldo). Consiglio 1 - Non sono le fotografie a guadagnare, sono i fotografi. Dirai: grazie al... Però è così: non importa che foto hai fatto, se l'hai fatta tu e avrai fatto in modo che abbia un buon GVA (Grande Valore Apparente). Il mondo dell'arte in generale è pieno di pittori, scultori e fotografi che hanno lavorato per crearsi una fama, e tutti a dire: ah, però che grande artista! Nessuno, però, che conosca le loro opere, ancor meno le capirebbe, comunque. Non è un mondo per sfigati: se vuoi davvero arricchirti con la fotografia applica alla lettera lo logica che, se vuoi essere qualcuno, devi apparire famoso, importante e di successo. Lascia stare i concorsi per poveri fotoamatori del cazzo, punta dritto verso gallerie importanti, mostrati sicuro delle tue capacità, fai appostamenti in via Giulia a Roma per beccare Bonito Oliva mostrandogli le tue foto ancor prima che abbia modo di reagire, o fai incazzare Sgarbi dandogli della "capra!" (questa tecnica è più facile) e quando ti prenderà a schiaffi diventerai ipso facto famoso. Sarai il fotografo preso a schiaffi da Sgarbi e il gioco è fatto. A chi vuoi che importi che foto fai? Fotografa cacche di piccioni sui muri con lo smartphone e fatti scrivere una nota critica da qualche criticone importante (costo medio sui 3000 €, ma sono un buon investimento) e avrai tutto quel che ti serve. Gli emiri della penisola arabica hanno già in caldo l'assegno da due milioni di dollari per te. E se pensi che racconto solo cazzate (che è vero, ma non dirlo in giro), sappi che la foto più costosa della storia non è di Weston o Adams, di Gursky o Angelica Hofer: è di un tal Peter Lik (e chi è? dirai, l'ho detto anch'io), e si intitola (che fantasia!) "Phantom". La foto di per se è gradevole, ma vista e stravista, di una disarmante banalità, ed è stata pagata ben 6,5 milioni di dollari. C'è chi dice sia solo un'operazione di marketing. Vedi che ho ragione? Consiglio 2 - Va bene, vuoi tenerti basso, non hai voglia di Martini on the rocks a bordo di un motoscafo battente bandiera panamense, non vuoi dover presenziare a ogni fottuto vernissage di tue mostre al MoMA, vuoi invece continuare la tua vita avendo però bei soldoni in banca, guadagnati senza fare una cippa, cioè fotografando. Va bene. Allora prova con le paparazzate. Lo so che da quando Corona è decaduto questo settore attira molto meno, ma se pensi a quanto vengono pagate le foto (poco nitide, brutte, scattate al volo e senza un minimo di grazia) pubblicate su certe riviste, beh... ci farei un pensierino. Quando qualcuno ti farà osservare che "paparazzare" la diva o il divo della TV, del cinema o della canzone non è certo una forma d'arte, contrapponi due dati incontrovertibili: primo, che il termine "paparazzo" deriva dal personaggio interpretato da Enzo Cerusico in " La Dolce Vita" di Fellini (e scusa se poco); secondo, che una foto di due personaggi famosi che trombano può arrivare a valere 50.000 eurini, che qualsiasi fotografo "fine art" con la puzza sotto al naso non vedrà che in cartolina, se non appartiene al "gotha" dei 10-15 fotografi strafamosi (e anche in quel caso, è dura). Prendi la reflex, buttaci su due duplicatori di focale, un tele da 500 mm (anche catadiottrico, che ti frega) e appostati all'Argentario, in Costa Smeralda, ma anche a Roma o Milano, e ci sei quasi. Poi certo ci vuole un po' di culo: il tuo, certo, ma anche quello della Belen. Consiglio 3 - Sei uno di quelli tosti: non accetti compromessi, sei un artista tu, mica un marchettaro di m... Non mi spaventi, sai? Ho un consiglio anche per te. Non originale, anzi riciclato. Riciclatissimo. Però se uno ci pensa su un attimo, e decide davvero di mettersi d'impegno, son certo potrebbe funzionare, come sempre. Le agenzie di Stock. No anzi, di Microstock. La grande illusione di ogni fotoamatore, non c'è libro o manuale che non consigli al fotografo di mettere le proprie foto su questi siti che, essendo Royalty Free, non chiedono nemmeno l'esclusiva. La stessa foto la puoi mettere su 10 siti diversi. Wow! Chissà quanti soldini guadagnerò! Pochi, pochissimi, se non sei davvero furbo. Il download delle foto viene pagato pochi centesimi, e prima di arrivare almeno a 100 euro di guadagno, devi aspettare mesi se non anni. Se non sei Matusalemme, non diventerai mai ricco. Eppure. Eppure. C'è chi guadagna bene anche in questo settore. Certo, sono fotografi che hanno iniziato questa carriera ai tempi in cui era più facile crearsi un seguito, oggi è più difficile, ma non impossibile. La logica di fondo è che è vero che guadagni pochi centesimi a foto, ma se butti dentro la Rete decine di migliaia di fotografie, ecco che il guadagno diventa interessante. Ma non basta. Se fai in modo che le foto siano quelle giuste, e non le solite immagini fotoamatoriali di paesaggio, tramonti, animali domestici e così via, le tue possibilità aumentano molto. Devi puntare al settore "advertising" (la pubblicità, insomma), fare in modo che le tue foto vengano scelte per manifesti, brochure e quant'altro. Studiati il mercato, organizzati in modo da poter realizzare ogni giorno centinaia di scatti, creati una lista di modelli e modelle (no, gli amici e le amiche non vanno bene, servono professionisti) da utilizzare negli "shooting", allontanati dai cliché - per emergere - e poi scatta anche foto banali e trite, perché non si sa mai. Un impiegato lavora otto ore al giorno: tu non un minuto di meno. Almeno sei giorni su sette. Migliaia di foto alla settimana. Trovati un fidanzato/a disponibile a lavorare al computer per inserire tutte le foto sui siti di microstock con tutte le keywords acconce (esistono softwares che facilitano la cosa). Ti sembra complicato? E allora: se vuoi, ti resta sempre il Totocalcio, mica si diventa ricchi cincischiando con gli amici! Consiglio 4 - Ma tu in verità sei un fotoreporter, non un impiegato della fotografia. Accidenti, ma sai che sei uno complicato, cavolo? Cosa vorresti: essere pubblicato su riviste e giornali a diffusione planetaria? Vabbe', però non mi risulta che nessuno, pubblicando reportage sui giornali, sia mai diventato davvero ricco (se fosse così, ora non perderei tempo a scrivere 'ste cazzate, avendo pubblicato circa 200 reportage sulle riviste). A meno che non si parli di uno scoop, ma di uno scoop vero. Cosa rara: cose tipo il Watergate avvengono tutti i giorni (ci scommetto), ma scoprirli è un'altra faccenda. Comunque posso darti dei consigli utili anche in questo campo. Prima di tutto scordati il Sociale. Sarà che viviamo nell'epoca dei "suprematisti", dei nazionalisti, dei Salviniani e così via e a nessuno fotte più un'emerita del destino di milioni di persone coinvolte in guerre e carestie. Roba per cuori delicati, eppoi mica tutti sono Salgado. Perciò, cuore di pietra e volgi lo sguardo altrove. Esattamente sui presunti nemici del popolo: lo so che fa molto Pol Pot o Kim Jong-Un, ma intendo dire che se realizzi un reportage bello tosto su Soros, è facile che te lo paghino bene, specie "certi" giornali. Poi c'è tutto il settore dello spettacolo (non parlo di paparazzate, in questo caso): reportage che raccontino i personaggi più amati dal pubblico ricevono sempre un'ottima accoglienza nelle redazioni. E non credere sia così difficile avvicinarli: l'importante è fingere di essere uno bravo e famoso, anche se non lo sei. Quanti politici fanno finta di essere intelligenti e non lo sono? Quanti attori si atteggiano a veri artisti e ululano come cani? Dunque, niente remore! Cercati il contatto giusto e chiedi l'esclusiva: più il personaggio (attore, cantante, politico) è famoso per la sua riservatezza, più il tuo servizio fotografico avrà valore. Se non riesci a convincere il personaggio a concederti il permesso di fotografarlo anche nelle sue attività più private, tenta con il ricatto. Tutti hanno scheletri nell'armadio. Lo so, è illegale. Che ti importa? Siamo in Italia...
Consiglio 5 - Ultima possibilità. Diventa un consulente per fotografi che vogliono diventare ricchi. Si fa così: trova qualche consiglio utile, tipo quelli che ti ho dato sin qui (Hmmmm). Mettili per bene all'interno di una pagina internet (meglio un sito vero e proprio) molto colorato e studiato da qualcuno che ci capisce e con tante foto esplicative acquistate per pochi centesimi su un sito di Microstock (non perdere tempo a farle tu, che il tempo è denaro). Ogni venti righe di testo metti un pulsantone in cui scrivi che i pochi furbi che ci clickeranno sopra potranno conoscere i segreti degli esperti per guadagnare con la fotografia "più di un chirurgo" o di altro professionista stimato. Solo loro potranno accedere al paradiso dei fotografi ricchi e di successo. Offri gratis un'anteprima, ma poi metti in chiaro che per accedere ai metodi di "marketing creativo per fotografi" il fesso... ehm, il cliente dovrà pagare una quota. Tienti alto (spara: 2-3000 €) e poi applica degli sconti per i primi 10 che si iscriveranno (e allunga a dismisura la promozione come "Poltroneesofa", tanto chi si mette a contare gli iscritti?) e il gioco è fatto. Come dici? Quali consigli dovresti vendere? Ah, ma allora sei davvero poco furbo. Ruba, cavolo, ruba! Il consiglio viene da Timothy Ferris, autore di "4 ore alla settimana", libro di gran successo sia in America che nel mondo, e questo già la dice lunga sulla china che l'umanità ha imboccato (io, comunque, il libro me lo sono letto, hai visto mai). Ferris consiglia, per lavorare appunto solo 4 ore alla settimana e acquistare tra le altre cose una bella Lamborghini (ora semplifico), di creare dei prodotti che forniscano alle persone strumenti pratici, atteggiandosi ad esperto (è incredibile quanto sia facile farsi credere un esperto in qualsiasi materia ed essere certificato per questo!) e trovando le risorse rubacchiando qua e là e rielaborando il tutto come fossero cose chissà quanto originali. Ti sembra disonesto? Rassegnati: se la pensi così, resterai socio a vita nel club di noi poveri squattrinati!
8 Commenti
Grandi porzioni del territorio italiano e mondiale possono essere definite terre spopolate: letteralmente, terre senza popolo. Nessuno più la abita, nessuno. Abitare un luogo, come scrive Franco La Cecla nel suo saggio “Perdersi”, non è stare in un luogo, non è avere il proprio domicilio in un punto preciso della mappa catastale, non è avere un indirizzo in cui ricevere la Posta e i pacchi con le merci di Amazon. Fino alla fine del XVIII secolo non esistevano i nomi delle strade e i numeri civici, figuriamoci. E’ con la modernità che ognuno ha iniziato ad avere delle precise coordinate geografiche in cui fosse sempre raggiungibile. Ma avere queste coordinate non significa davvero abitare un luogo, dicevo. Perché oggi il cittadino medio (per fortuna ci sono le eccezioni) vede il territorio circostante solo come un’opportunità, soprattutto economica. Può guardarlo riempirsi di pannelli fotovoltaici e pale eoliche senza battere ciglio, può vederne i terreni agricoli sfregiati da coltivazioni sempre più estensive e meccanizzate e credere che in fondo sia giusto così, può osservare con disincanto il diffondersi di villette e abitazioni senza stile per ogni dove, ritenendolo il necessario prezzo da pagare alla modernità e allo sviluppo. E ovviamente non si interesserà mai dei rifiuti sparsi per ogni dove, dei torrenti inquinati, dei boschi abbattuti, dei veleni sparsi nei noccioleti che si espandono a spese delle coltivazioni più tradizionali. Nemmeno noterà, forse, come l’edilizia moderna sfregi i centri abitati, i borghi medievali, gli antichi insediamenti. Una frattura insanabile è oramai giunta a separare i cuori di chi vive in questi luoghi e i luoghi stessi: per questo nessuno li abita più. Perché abitare significa essere radicati in un territorio, amarlo e rispettarlo, anche modificarlo, ovviamente, ma rispettandone la vocazione e la natura, la storia e lo spirito, eleggendolo a Heimat, patria dell’anima, non solo del corpo. Magari ci sono anziani pastori e qualche contadino ancora legato alle vecchie tradizioni che percepiscono il legame profondo con gli Avi, ma di certo tutti gli altri passano e vanno sui territori e non con leggerezza, ma col passo pesante dettato dal cosiddetto “progresso”. Vere armate Brancaleone di persone sradicate, a parole “innamorate di questa terra bellissima” (la terra dove passano è sempre bellissima, a prescindere), ma di fatto incapaci di vederla, vederla davvero. Nella migliore delle ipotesi la considerano una meta per belle passeggiate, in cui l’ennesimo “selfie” davanti al rudere antico diventa l’occasione per mostrare la meraviglia e la bellezza di un “luogo magico”. La magia è sparita da tempo, purtroppo, e personalmente l’ho cercata a lungo, con centinaia di escursioni, passeggiate, “esplorazioni” qua e là per l’Italia centrale, ora soprattutto nella Tuscia, dove abito. A volte ne ho percepito, forte, la presenza, che poi si dileguava dinanzi alle buste di plastica appese ai rami degli alberi, all’odore di tensioattivi che evapora dalle acque dei torrenti, ai rifiuti accumulati nelle necropoli, ai tagli boschivi devastanti, alle strade aperte ovunque, alle tracce delle moto da fuoristrada e al loro rumore lontano, che rimbomba nella valle insieme a quello della motosega. Per alcuni l’approccio di certi “esploratori” si chiama “turismo di prossimità”, che la recente pandemia ha reso più diffuso e invasivo. Non lo so, io ricordo anche prima questi gruppi di gitanti allegri e caciaroni – che la “simpatia” del gruppo è parte integrante del fascino di queste iniziative, come se il silenzio di una forra non fosse affascinante abbastanza – in grado di ignorare i segni del degrado e di farsi la foto di gruppo dinanzi la cascata “bellissima”, nonostante le sue acque odorino di piscio. E se pensate che parli in astratto, vi garantisco che ci sono cascate davvero bellissime per essere quasi delle fogne a cielo aperto. Francamente, gli “wow” di chi si affaccia a guardarle non riescono a coprire la tristezza di questo assassinio del “Genius Loci”. In Italia di terre disabitate ne esistono tante. Se penso alla Campagna Romana (altro luogo a cui ho dedicato tempo, impegno e lavoro) non posso che rallegrarmi di girare in luoghi certamente meno degradati e assediati. Ma La Tuscia, proprio per questo, è una ferita sanguinante, perché difficilmente la si riesce a dare come “terra perduta”, data la bellezza di tanti luoghi che ancora conserva. E perciò le ferite inferte a tale territorio fanno più male, sanguinano più violentemente. Una parte di me spera ancora che si possa assistere a un risveglio civile, che deve passare per forza attraverso un ritorno all’abitare i luoghi, a sentirsi parte integrante di un territorio, dunque in grado di non barattarlo per scampoli di (finto) progresso. Non bastano certo le pur encomiabili iniziative di comitati e associazioni che si impegnano a togliere rifiuti dai prati e dalle forre o che si battono contro l’ennesima foresta di pale eoliche a due passi dai centri abitati. Questa è come un’aspirina per togliere la febbre alta, ma che non cura la malattia che la provoca. Credo però che sarà difficile cambiare strada, e basta allargare lo sguardo per rendersene conto. Tutte le dichiarazioni sulla necessità di “fare presto” per salvare il pianeta dai mutamenti climatici, si scontrano poi con le richieste di “crescita economica”, “sviluppo”, “nuove infrastrutture”, insomma nuovo cemento, asfalto e CO2. Se non fosse tragico, sarebbe ridicolo. Si è addirittura coniato un assurdo termine ossimorico, quello di “sviluppo sostenibile”: ma non di sviluppo occorrerebbe parlare, ma di decrescita, intesa come decrescita degli sprechi, dei consumi (di merci e di territorio) e dunque anche economica. Un pianeta finito non può sostenere una crescita infinita, dunque il momento di “decrescere” arriverà per forza, possiamo solo scegliere se farlo in tempo e consapevolmente o in modo traumatico. Ma vedo che la lezione del Covid non ci sta insegnando nulla. Ora, tutta questa tirata ecologista ti avrà annoiato, e lo so. Anche perché sembra non avere alcun rapporto con la fotografia. E invece ce l’ha, almeno per me. Infatti, debbo fare una confessione: ho sempre mentito, sono uno spregiudicato falsario, uno spergiuro. Ho sempre condiviso foto che sembrano riprendere luoghi intatti e bellissimi, anche se non erano davvero così. La fotografia mente, mente sempre, e in fondo a me piace per questo. Mi piace, in particolare, “immaginare” i luoghi come se fossero belli e integri, anche se non lo sono. Per questo non mi sono mai sentito in colpa, mi sembrava un imbellettare la realtà al solo scopo di creare immagini destinate a dare un pizzico di gioia, almeno per gli occhi. Tanti, tantissimi fotografi fanno così, questo lo dico a mia discolpa. Qualche giorno fa, col mio amico Roberto ci siamo fermati a fotografare una diga medievale da cui scendono due belle cascatine, che abbiamo visto passando sulla strada. La foto è quella sotto. Bel posto, vero? Che monumento grandioso, non trovi? Ma dalla foto non puoi comprendere appieno quanto fosse sporca e inquinata l’acqua, il puzzo di fogna e tensioattivi, i rifiuti di plastica che ho rimosso, e ovviamente il rumore dei camion che passavano sulla strada lì vicino. Ecco, ora che sai tutto questo puoi guardare alla foto con gli stessi occhi disincantati e magari chiedermi “dov’è?” per andare a farci una gitarella?
Se mi chiedi se continuerò a fare foto del genere ti risponderò di sì, lo farò. La chiamo la mia “fotografia onirica”: come per il lavoro sulla Campagna Romana, voglio ancora mostrare i luoghi come sogno che siano e non come sono in realtà il più delle volte. Nella speranza che magari qualcuno rimuova gli elementi negativi e quei luoghi davvero diventino come sono rappresentati nelle fotografie. Ma ho anche deciso di realizzare un progetto fotografico che vada oltre. A volte mi costa un po’ di fatica, a volte è una rivelazione. Scopro, ad esempio, come Madre Terra sappia con gentilezza e pudore rendere alla fine se non “bello” almeno accettabile anche il peggiore dei guasti che arrechiamo al suo splendido manto, permettendo a noi fotografi di creare comunque delle foto interessanti, come ampiamente dimostrato dai “New Topographics” e da Robert Adams in particolare. Non sono foto che condividerò online. Da sole magari non sono facilmente comprensibili, specialmente dalla massa di utenti in cerca di “posti belli” dove fuggire nel fine settimana. A loro magari continuerò a proporre delle pie illusioni. Ma sono foto a cui tengo, questo si: mi permettono di non provare più sensi di colpa e forse, in parte, iniziare ad abitare questa terra – la Tuscia - così bella e fragile, sempre in bilico, perché affidata a chi non la comprende e non la rispetta davvero (se non a parole) e non viene più “vista” da coloro che la percorrono quotidianamente ma oramai sono insensibili al suo grido di dolore. Ora ti spiegherò come NON diventare un fotografo popolare sui Social e dunque giocoforza un fotografo davvero bravo (almeno per finta). Ovviamente il tono è scherzoso, ma - come recita l'adagio - Pulcinella scherzando scherzando... Più di qualcuno me l'ha fatto notare. "Marco" mi han detto, "se continui a postare 'ste foto chi vuoi che ti metta i like?". La cosa potrebbe finire in un sonoro "ecchisenefrega!", però no, la voglio approfondire, se non per sfogarmi almeno affinché la cosa sia utile ad altri. Questi di seguito sono i motivi per cui io non sarò mai popolare sui Social e non avrò mai centinaia di migliaia di followers osannanti ai miei piedi, o ammiratori in grado di decantare per ore gli splendori delle fotografie che ho appena condiviso. Ma soprattutto questi sono i consigli per diventare come me e poter andare in giro a testa alta ben sapendo di far parte di una elite esclusiva e molto segreta. Talmente segreta che tutti ne ignorano l'esistenza. Come dev'essere, o no? Altrimenti che segreto sarebbe? Hmmmm. - Innanzitutto cancella i colori sgargianti, scordateli proprio. Solo colori scialbi come se li avessi passati nella varechina (un po’ alla Ghirri, dirai, se vuoi darti un tono) o puro e semplice Bianco e Nero. La gente ama i colori, le foto squillanti e dalle tonalità allegre ed esagerate. Ma la regola d’oro del vero artista recita: mai dare alle persone quel che credono di volere! Il compito di ogni artista è decidere lui cosa la gente dovrebbe apprezzare! - Scegli soggetti che le persone non siano in grado di comprendere. Ad esempio, io fotografo spesso ruderi, luoghi abbandonati, siti archeologici sparsi per boschi, forre e macchie. "Ma che sarebbero 'sti quattro sassi?" mi ha detto un amico. Se i quattro sassi fossero stati a portata di mano glieli avrei tirati in testa, ma in quel momento era complicato. Fa niente: i soliti tre amatori di simili soggetti potranno sicuramente mettere un mi piace striminzito che però, lo sappiamo tutti, vale molto di più dei trecentomila "like" ricevuti dalla solita foto a colori, al tramonto, con nubi colorate, fatta al Grand Canyon. Maledetti yankee.
- Aggiungi titoli e commenti che facciano sentire stupide le persone. Cose come "l'estasi dell'eterno", "Opus interior", "Sguardi d'infinita attesa" e minchiate del genere. Ricorda sempre che l'artista ha come scopo primario far sentire inadeguato il suo pubblico, il quale non arriva mai a capire le opere che gli vengono democraticamente proposte sui Social. Ma di questo l'artista gioisce, laddove il solito cercatore di popolarità cadrebbe in depressione. Ma tu non devi mica decorare bottiglie d'acqua minerale e venderle a 8 euro l'una, sei di ben altra pasta e nei supermercati ci vai solo a far la spesa, se ti resta qualche spicciolo. - Non offrire spiegazioni. Mai! Mai! "Se la devi spiegare vuol dire che non è venuta bene" diceva il buon Ansel Adams paragonando fotografie e barzellette. Ora tu non ti abbasserai mai a spiegare a un misero parvenu culturale che cosa hai inteso rappresentare con la tua foto. E allora! Son capaci tutti a dire che siccome uno ha scattato una foto a un rudere, allora quella foto rappresenta un fottuto rudere. Eh no! Ma la studia la gente la storia dell'Arte? C'è stato Duchamp o no? Ha sdoganato il Ready Made o no? E che stiamo qui a pettinare le bambole? A smacchiare i leopardi? Eh su, dài! (su questo alza la voce, devi essere convincente anche se su Duchamp non sai una beneamata e pensi che i Ready Made siano i surgelati da cuocere nel microonde: inganna! fingi!). Se nonostante tutto questi ricevi comunque commenti positivi e ci sono utenti che addirittura hanno capito le tue fotografie e (incredibile!) le apprezzano, vuol dire che sei ancora troppo figurativo, troppo comprensibile, troppo diretto. Non va! Lavoraci su, hai visto mai che mi diventi un "influencer"? My God, un Influencer noooo! Quello nella foto sopra - realizzata con una tecnica che ho chiamato lumenphoto - sono io mentre discuto con il sole. Erano i giorni del "lockdown" e si poteva appena mettere il nasco fuori casa. Io continuavo a pensare a un modo per raccontare il mio rapporto con il sole, come relazionarlo alla mia vita. Non ho mai amato molto i giorni di sole (a differenza del 90% della restante popolazione mondiale), preferendo di gran lunga le giornate nuvolose. Sarà un retaggio del mio essere "fototipo 1" che da sempre lotta con le scottature estive, chissà! Comunque sia, ero intenzionato a celebrare il sole, non per la tintarella o per la possibilità di trascorrere lunghe giornate al mare, ma per essere il "motore primo" di ogni cosa. E intendo OGNI cosa. Noi non esisteremmo, nulla di vivo esisterebbe su questo pianeta senza questa piccola stella, insignificante a confronto con le stelle giganti di cui è pieno l'universo, tanto che, come scrive Ester Antonucci ("Dentro il sole"), "viene classificata come «nana gialla» in base alle righe spettrali che emette nel visibile, e ha temperatura superficiale di 5.780 K ... La sua luminosità è decine di migliaia di volte inferiore, per esempio, a quella di Rigel, ma per la Terra, che dista dal Sole solo 150 milioni di chilometri, il Sole è 100 miliardi di volte più luminoso di qualsiasi altra stella. Il Sole è la stella più vicina alla Terra: è la nostra stella. In 8 minuti la sua luce percorre la distanza che lo separa dalla Terra, la quale lungo la sua orbita quasi circolare intorno al Sole, compiuta in 365 giorni, riceve 1,36 kWatt di potenza luminosa per metro quadrato di superficie". Ad ogni modo, dicevo, cercavo di esprimere la sensazione di gratitudine che provo verso la nostra stella per aver permesso non solo a me - e a tutti voi - di essere vivi, ma anche di permetterci di vivere su un pianeta ricco di animali ma soprattutto piante (che rappresentano l'85% della massa vivente della Terra!), cioè di bellezza. E volevo mettere questo in relazione proprio con me stesso: dunque nella foto, oltre al sole, volevo esserci, secondo la tecnica del "selfie", almeno in senso lato. E in effetti la foto è un selfie, sebbene realizzato con una fotocamera autocostruita caricata con un pezzetto di carta fotografica BN, tenuta all'estremità di un monopiede. Tutte le foto del mio progetto "FOTO|SINTESI" hanno dietro storie simili. Alcune anche meno felici (tipo la denuncia che mi sono beccato per aver sistemato in un terreno incolto dei barattoli per la solargrafia), ma in generale è stato davvero un progetto "liberatorio", in cui ho dato sfogo libero alla mia fantasia, senza alcun limite, sfruttando una decina di tecniche diverse, per due terzi analogiche e per un terzo digitali. Il mio progetto celebra la bellezza e potenza del Sole ma non solo: anche e soprattutto vuole essere un omaggio alle potenti alleate del sole nel creare la vita: le piante. Senza queste ultime non avremmo né cibo né aria da respirare. Ho così pensato di partire dalle foglie, il laboratorio chimico delle piante dove avviene la magia che trasforma i fotoni impalpabili in zuccheri e dunque in cibo, grazie appunto al processo della fotosintesi. Per "fotografare" le foglie sono ricorso a tecniche particolari, alcune già disponibili (Antotipia, Lumenprinting, Lumigrafia, Fotogrammi…) altre invece frutto di riadattamenti o “invenzioni” personali (Oxydolumenprinting, Lumenphoto). Ma questo mero elenco di tecniche dice poco rispetto al grande sforzo che ho fatto per immaginare un progetto fotografico del tutto diverso da quelli fatti in precedenza, oltretutto a colori (sebbene gran parte delle foto sia fatta su carta fotografica bianco e nero e questa è già una magia!). Molte delle immagini hanno richiesto ore di esposizione, le solargrafie addirittura mesi. Un modo per rallentare, prendersi il tempo, adeguarlo ai ritmi del sole stesso, il cui moto apparente determina il dì, suddiviso in giorno e notte.
Sono molto contento dei risultati. Credo che il libro che ora è in fase di "crowdpublishing", dunque di finanziamento diffuso attraverso il preacquisto delle copie, oltre ad apparire diverso dal solito libro fotografico a cui siamo abituati (anche da quelli davvero “strani” che si realizzano negli ultimi tempi), sia anche in grado di trasmettere sensazioni positive, di cui abbiamo un disperato bisogno, e di far riflettere su questo nostro pianeta malato, su cosa stiamo facendo agli ecosistemi, alle possibilità di continuare a vivere in armonia con esso. Partire dall’ombra di Dio, come Michelangelo chiamava il Sole, credo sia essenziale. Può essere un amico indispensabile, ma anche un nemico se non abbiamo rispetto dei meccanismi che regolano l’atmosfera. I mutamenti climatici sono solo il primo segnale. Invece di realizzare un lavoro di tipo reportagistico, ho scelto di tornare alle origini, secondo la mia ferma convinzione che dovremmo proteggere e amare la natura certamente per tutto quello che fa per noi, ma soprattutto perché è bella. E della bellezza, forse, abbiamo più bisogno dell’aria che respiriamo. Se vuoi sostenere il mio progetto puoi andare nella pagina apposita presente in questo sito. Grazie! Questo post è in modalità ironica nonché acida. Lo dico prima e il perché si chiarisce più avanti. Almeno spero. Ma mi sa di no. Come si usa fare oggi nei post seri (e questo chiaramente non lo è) anticipo il senso di quanto articolerò in modo confuso qui sotto, cosicché tu possa leggere solo queste quattro righe e poi andare altrove, se vuoi. Dunque quello che vedremo tra poco è come la fotografia sia molto cambiata, resa più semplice e a prova di errore dalla tecnologia: di conseguenza chiunque, oggi, può scattare una "bella foto". Al povero fotografo "serio" non resta che affidarsi alle idee. Ma visto che la tecnologia ci sta rendendo tutti un po' pigri (per non dire altro), anche delle idee si può fare a meno: basta far finta di averle (avute), in modo da rendere potabile anche il più inguardabile guazzabuglio di immagini che ovviamente avremo denominato Portfolio 1 o meglio ancora Opus #1. Ecco, è tutto. Ora se hai voglia che ti renda meno chiaro e più complicato quanto ho appena detto (che poi non è certo la scoperta dell'America), puoi anche continuare a leggere, a tuo rischio e pericolo. Secondo la legge di Murphy se una cosa può andar male, di certo lo farà. Così - ad esempio - se una fotografia si può sbagliare, ci sono ampie possibilità che risulterà proprio sbagliata: fuori fuoco (e non leggermente), male inquadrata, male esposta, insignificante. E visto che le cose spesso procedono (o almeno procedevano una volta) in questo modo - e la fotografia sembra un campo in cui la legge di Murphy e i suoi corollari impazzano - ecco che l'Industria ha intuito che su questo si poteva lavorare e, s'intende, guadagnare bei soldoni. Così, pian piano, sono nate delle fotocamere "Murphyproof", a prova di (legge di) Murphy. Che oggi sono costituite principalmente da quelle contenute negli smartphone, con cui sbagliare è questione di talento, quello vero. Oggi dire a qualcuno che una sua foto è sbagliata vuol dire quasi fargli un complimento. Bei tempi quelli in cui mi capitava di ammirare - sdegnato, allora - foto completamente sbagliate, ma di brutto. Quasi ho nostalgia di quei tempi in cui l'errore imperava, e la crescita culturale di un fotografo consisteva nel saper sfruttare adeguatamente tali errori, o nell'evitarli. Oggi sono diventato un malefico cercatore di peli nell'uovo, almeno quando esamino le foto altrui. Magari la foto è un po' "grigiastra" (o "grigietta" se mi piace minimizzare), o la messa a fuoco non è perfetta, o l'inquadratura un po' così. Ma poi lo sanno tutti che con un "crop" e un colpo di curve e qualche app tutto si mette a posto. E che Murphy si fotta. E' evidente che il focus si sia spostato molto, ma molto di più su cosa ci fai con quelle foto "non sbagliate". La fotografia è morta, magari, ma non la capacità di comunicare attraverso di essa. Potrebbe addirittura essere che questo fenomeno di cui sto discettando sia qualcosa di buono, e di vantaggioso. Perciò la mia proposta è sempre stata quella di evitare di ricadere sempre nel mito superato della perfezione tecnica, che oramai è alla portata di tutti e si può apprendere nel tempo di un tutorial su YouTube. Davvero. Poi si può limare un po' lì e un po' di là, ma insomma, che ci vuole? Ho visto bambini quasi in fasce prendere lo smartphone della madre e in cinque minuti fare fotografie perfette. Migliorabili per l'inquadratura, si potrebbe dire, ma con oltre 100 megapixel hai voglia a croppare e a creare il giusto "taglio" secondo le regole corrette.
Io me lo ricordo quando, ai tempi della pellicola, la gente andava dal negoziante anche solo per inserire il rullino nella fotocamera compatta, visto che la volta precedente non si era agganciato e non era venuta nemmeno una foto. Ah, come avrebbe goduto il buon Murphy! Mi sovviene però che alla legge di Murphy ci sono innumerevoli corollari che vanno a esaminare ogni remoto recesso della sfiga che - com'è noto - ci vede benissimo, ti cerca attivamente e quasi sempre ti trova. Uno di questi corollari è definito "terza legge di Chisolm" (le due che la precedono ci interessano meno): "le proposte sono sempre capite dagli altri in maniera diversa da come le concepisce chi le fa". Urca. Dunque sono consapevole che l'ironia (spero anche l'autoironia) con cui sto scrivendo queste note sconclusionate, venga percepita nel modo sbagliato. Ma nonostante questo, vado avanti e che la buona sorte mi assista. La citata legge a sua volta ha ben tre corollari: "se si spiegano le cose in maniera tale che nessuno possa non capire, qualcuno non capirà" è il primo, e temo che stavolta anche tu abbia capito fischi per fiaschi. Ma anche questo potrebbe non essere grave, visto che sono stanco anche di gente che dice sempre d'aver capito tutto, dai vaccini alla fisica quantistica, dall'istogramma di Lightroom alla conta dei megapixel. Il secondo corollario recita:"se si fa qualcosa con l'assoluta certezza dell'approvazione di tutti, a qualcuno non piacerà" e scommetto che su questo concorderai anche tu che capita praticamente sempre. Realizzi il tuo bel progettino fotografico "furbetto" fatto apposta per raccogliere consensi e approvazione, poi vai alla "Lettura Portfolio" e te lo smontano in due secondi, per lodare magari quello accroccato in modo incomprensibile dal tizio dopo di te, che vincerà un premio per una serie di immagini "di rara intensità". Il terzo corollario afferma con una certa sicumera che "se si vuol mettere qualcuno di fronte al fatto compiuto, il fatto non si verificherà". Mi sa che a questo punto siamo fregati. Ma consoliamoci: oggi come oggi la fotografia è diventata "liquida" per utilizzare un termine in voga, e c'è stato un generale tana libera tutti e ognuno va per conto suo, secondo il motto "l'errore non esiste", o con lo slogan "le regole sono morte" e così via. Il che dal mio punto di vista significa appunto cercare di mettere lo spettatore dinanzi al fatto compiuto - l'aver scattato la foto a casaccio e senza nemmeno un'idea, ma vedi quant'è figa? - solo che il fatto fondamentale (l'aver invece scattato una foto significativa) non si è affatto avverato. Ma con un po' di ragionamenti contorti, si riesce a ingannare chiunque, specialmente gli altri fotografi, che in tal modo si sentono liberi di fare altrettanto. In altre parole: un'idea confusa (o inesistente), una serie di foto inconcludenti che sembrano seguire quell'idea (vabbe') e una paginetta di Word in cui si spiega le contorsioni dell'anima autoriale nel cercare di rappresentare ciò che "non potrebbe essere rappresentato", e l'Opus #1 è pronto. Poi devi solo giurare sulle Sacre Tavole che questo progetto è costato mesi - anni, forse l'intera vita - per essere portato a compimento. Come potresti tu, spettatore, non apprezzarlo? Peggio: non comprenderlo? E' insomma un modo per infrangere la legge di Murphy della fotografia di cui parlavo all'inizio. Non ha alcuna importanza come verrà la foto, se nitida o sfocata, se mossa o bella ferma, esposta correttamente o bruciata: conta appunto l'idea. Che è una gran cosa, sono anni che ci batto su questo concetto. Solo che - mannaggia la paletta - l'idea occorre averla, e magari averla prima di scattare la foto. E l'idea è qualcosa di profondo e complesso, qualcosa che va gestito, organizzato. Mentre spesso è appena abbozzata e, dopo aver fatto tutte le foto, ci si arrangia con un ragionamento stiracchiato più o meno incomprensibile, spacciato per profonda riflessione esistenziale. Invertendo il secondo corollario, infatti, se si fa qualcosa con l'assoluta certezza di suscitare disapprovazione, a qualcuno il tuo bel progettino piacerà, sicuro. Specialmente alle persone giuste. Potresti chiederti cosa mi sia successo per tenere questo atteggiamento effettivamente un po' acido. Nulla. Mi capita, quando sfoglio qualche rivista di fotografia, di ondeggiare tra il senso di colpa per non "capire" certe fotografie e il senso di fastidio che provo nel guardarle, oltre a un certo bruciore di stomaco che spesso - se mi capita - sfogo scrivendo... |
|