Antico Confine
Cosa ci fanno centinaia di cippi in pietra su creste montuose e valli attraverso l'Italia, dal Tirreno all'Adriatico, lungo un percorso di oltre 300 chilometri? Rappresentano la testimonianza dell'antico tracciato del confine che sino a 150 anni fa divideva lo Stato Pontificio dal Regno delle Due Sicilie.
Per rendere infatti più concreto il confine, in seguito a un accordo siglato nel 1840 vennero sistemate 686 colonnine con inciso il giglio borbonico dal lato verso il Regno delle Due Sicilie e le chiavi di San Pietro su quello verso lo Stato Pontificio, con un numero progressivo e la data. Oggi di quelle colonnine ne rimangono in situ oltre la metà: una preziosa testimonianza in tempi in cui si parla molto di divisioni sempre più profonde tra le diverse parti del nostro Paese.
Sono infatti la prova che l'Italia è sempre stata divisa e che l'Unità faticosamente conquistata va costantemente rinnovata. ALtrimenti quei cippi potrebbero tornare a rappresentare qualcosa di più fisico e concreto di una mera testimonianza storica. Per questo, tra l'altro, li ho fotografati con una Toy Camera cinese, la Holga. Ovviamente su pellicola. Un modo per ricordarci che alcune cose appartengono al passato, ma in verità possono restare drammaticamente attuali. Dovrebbero rappresentare un memento da avere sempre davanti agli occhi.
“Comincia il confine dal punto dove il canale di Canneto mette foce nel Mar Tirreno, e radendo la sponda destra occidentale del canale medesimo giunge al lago di Fondi…”. Così inizia l’articolo 16 del “Trattato sul nuovo confine tra Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie” siglato a Roma il 26 settembre 1840. Il confine continuava verso nordovest attraversando i monti Aurunci e la piana del Liri e del Sacco, incontrando poi, nei pressi di Sora, le cime degli Ernici. Quindi voltava verso Campo Catino sfiorando la Monna, per seguire il fil di cresta che da Monte Ortara va verso la mole massiccia del monte Crepacuore. Da qui, il confine perdeva quota per risalire subito ripidamente il monte Viglio e raggiunta la Serra S. Antonio, sopra Filettino, proseguiva diritto incontro al monte Viperella dove effettuava una dolce curva per raccordarsi con la panoramica cresta che porta al monte Ceraso, nella zona oggi dominata dagli impianti sciistici di Campo Staffi e scendere in direzione di Cesa Cotta, nel territorio di Cappadocia, infilandosi quindi nella stretta gola del Fosso Fioio, da dove riemergeva oramai a ridosso di Camerata (nello Stato Pontificio); effettuava quindi un ampio giro intorno al territorio di Rocca di Botte (Regno delle Due Sicilie), rasentando i ruderi del castello della Prugna sopra Arsoli e dirigendosi in lenta discesa verso Oricola e la piana del Cavaliere, incontro alla Sabina. Divideva così i territori di Riofreddo, Vallinfreda, Vivaro e Collalto Sabino, pontifici, dai paesi “regnicoli” di Pereto e Carsoli.
Lasciato quasi subito il fiume Turano, il confine proseguiva verso l’altro fiume importante della zona, il Salto, per tenere la direzione di Rieti, separando l’attuale capoluogo da Cittaducale prima di voltare verso nordest, abbandonando il gruppo del Terminillo al Regno delle Due Sicilie, per scalare i verdissimi rilievi dei monti della Laga (un cippo di confine è presente sulla Macera della Morte) e quindi imboccare la valle del Tronto fino all’Adriatico per spartire i territori oggi abruzzesi da quelli delle Marche. Tutto questo complesso e tortuoso tragitto era segnalato, come accennato all’inizio, da 686 colonnette in pietra collocate da Terracina, dove si trovava la numero 1, al ponte di barche di Porto D'Ascoli, nei pressi del quale fu collocata la colonnina numero 649 (alcune colonnine avevano lo stesso numero, seguito da una lettera alfabetica). In media, quindi, considerando che il percorso totale superava i 300 chilometri, c’era un cippo ogni 500 metri: un'impresa a dir poco titanica, considerando anche i mezzi dell'epoca!
Le caratteristiche dei cippi erano determinate con precisione: l'altezza doveva essere di circa un metro per la parte emergente dal suolo ed il diametro doveva essere di 40 cm (ma ce n'erano alcuni, detti “maggiori”, collocati in punti strategici, che erano più alti di circa 40 cm e con un diametro di 45 cm), mentre nel basamento -che veniva sotterrato- si collocava un medaglione in ghisa. Soltanto nel 1847, la data che ancor oggi possiamo vedere scolpita sulle numerose colonnette superstiti, l'opera di sistemazione dei termini – affidata alle singole comunità locali - venne in buona parte completata.
Per rendere infatti più concreto il confine, in seguito a un accordo siglato nel 1840 vennero sistemate 686 colonnine con inciso il giglio borbonico dal lato verso il Regno delle Due Sicilie e le chiavi di San Pietro su quello verso lo Stato Pontificio, con un numero progressivo e la data. Oggi di quelle colonnine ne rimangono in situ oltre la metà: una preziosa testimonianza in tempi in cui si parla molto di divisioni sempre più profonde tra le diverse parti del nostro Paese.
Sono infatti la prova che l'Italia è sempre stata divisa e che l'Unità faticosamente conquistata va costantemente rinnovata. ALtrimenti quei cippi potrebbero tornare a rappresentare qualcosa di più fisico e concreto di una mera testimonianza storica. Per questo, tra l'altro, li ho fotografati con una Toy Camera cinese, la Holga. Ovviamente su pellicola. Un modo per ricordarci che alcune cose appartengono al passato, ma in verità possono restare drammaticamente attuali. Dovrebbero rappresentare un memento da avere sempre davanti agli occhi.
“Comincia il confine dal punto dove il canale di Canneto mette foce nel Mar Tirreno, e radendo la sponda destra occidentale del canale medesimo giunge al lago di Fondi…”. Così inizia l’articolo 16 del “Trattato sul nuovo confine tra Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie” siglato a Roma il 26 settembre 1840. Il confine continuava verso nordovest attraversando i monti Aurunci e la piana del Liri e del Sacco, incontrando poi, nei pressi di Sora, le cime degli Ernici. Quindi voltava verso Campo Catino sfiorando la Monna, per seguire il fil di cresta che da Monte Ortara va verso la mole massiccia del monte Crepacuore. Da qui, il confine perdeva quota per risalire subito ripidamente il monte Viglio e raggiunta la Serra S. Antonio, sopra Filettino, proseguiva diritto incontro al monte Viperella dove effettuava una dolce curva per raccordarsi con la panoramica cresta che porta al monte Ceraso, nella zona oggi dominata dagli impianti sciistici di Campo Staffi e scendere in direzione di Cesa Cotta, nel territorio di Cappadocia, infilandosi quindi nella stretta gola del Fosso Fioio, da dove riemergeva oramai a ridosso di Camerata (nello Stato Pontificio); effettuava quindi un ampio giro intorno al territorio di Rocca di Botte (Regno delle Due Sicilie), rasentando i ruderi del castello della Prugna sopra Arsoli e dirigendosi in lenta discesa verso Oricola e la piana del Cavaliere, incontro alla Sabina. Divideva così i territori di Riofreddo, Vallinfreda, Vivaro e Collalto Sabino, pontifici, dai paesi “regnicoli” di Pereto e Carsoli.
Lasciato quasi subito il fiume Turano, il confine proseguiva verso l’altro fiume importante della zona, il Salto, per tenere la direzione di Rieti, separando l’attuale capoluogo da Cittaducale prima di voltare verso nordest, abbandonando il gruppo del Terminillo al Regno delle Due Sicilie, per scalare i verdissimi rilievi dei monti della Laga (un cippo di confine è presente sulla Macera della Morte) e quindi imboccare la valle del Tronto fino all’Adriatico per spartire i territori oggi abruzzesi da quelli delle Marche. Tutto questo complesso e tortuoso tragitto era segnalato, come accennato all’inizio, da 686 colonnette in pietra collocate da Terracina, dove si trovava la numero 1, al ponte di barche di Porto D'Ascoli, nei pressi del quale fu collocata la colonnina numero 649 (alcune colonnine avevano lo stesso numero, seguito da una lettera alfabetica). In media, quindi, considerando che il percorso totale superava i 300 chilometri, c’era un cippo ogni 500 metri: un'impresa a dir poco titanica, considerando anche i mezzi dell'epoca!
Le caratteristiche dei cippi erano determinate con precisione: l'altezza doveva essere di circa un metro per la parte emergente dal suolo ed il diametro doveva essere di 40 cm (ma ce n'erano alcuni, detti “maggiori”, collocati in punti strategici, che erano più alti di circa 40 cm e con un diametro di 45 cm), mentre nel basamento -che veniva sotterrato- si collocava un medaglione in ghisa. Soltanto nel 1847, la data che ancor oggi possiamo vedere scolpita sulle numerose colonnette superstiti, l'opera di sistemazione dei termini – affidata alle singole comunità locali - venne in buona parte completata.